La campagna elettorale è finita, il centrodestra ha chiaramente vinto le elezioni, ed ora si prepara a governare. Ma che governo sarà? Le posizioni dei tre leader sono diverse, alle volte distanti, su molti punti, in particolare sulla politica estera, ma il tempo degli slogan è finito, ora servono decisioni programmatiche per alimentare il governo che verrà.
Questa mattina mi sono trovato in un consesso di tedeschi, decine e decine di persone, che cercavano di capire cosa succederà ora, non tanto in Italia, giustamente, ma nel rapporto con l’Unione europea.
I dubbi erano su un po’ troppe questioni per gente come loro, abituata a sedersi ad un tavolo e a decidere nel minimo dettaglio cosa e come farà la coalizione durante gli anni di governo. Ci si aspetta lo stesso dall’Italia.
Ad esempio, nel programma presentato prima delle elezioni è scritto “… sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione della Federazione Russa e sostegno ad ogni iniziativa diplomatica volta alla soluzione del conflitto”. Cosa vuol dire? La cosa chiara è che si riconosce che c’è stata un’invasione da parte della Russia, e questo già è un punto importante e non scontato. Ma è anche un fatto oggettivo, innegabile per chiunque: militari russi, armati, sono entrati nei confini di uno Stato sovrano, l’Ucraina, senza che il governo locale li accettasse. Non c’è, nel programma, un giudizio, non c’è un richiamo alle sanzioni internazionali come alla questione dell’invio della armi. E non c’è perché non può esserci, dato che delle tre forze che compongono la coalizione una, la maggiore, è in linea con la politica occidentale, la seconda è contraria, la terza tergiversa (anche se finora tutte hanno reso possibile lo schieramento dell’Italia con il fronte euroatlantico).
Ora però che succederà? FdI farà la parte del leone essendo tre volte più grande dei due alleati e passerà la linea Meloni? La Lega si impunterà e lavorerà per andare incontro a Putin? Berlusconi tirerà fuori dal cappello una proposta di mediazione?
Ecco, Berlusconi. In tanti a Bruxelles guardano a Forza Italia come l’elemento che potrà “moderare” le spinte verso la destra estrema dei due partiti partner. Su questo sarà letta come decisiva la scelta del ministro degli Esteri: se sarà Antonio Tajani a Bruxelles si tirerà un respiro di sollievo, perché è un moderato, perché è ben conosciuto, perché nella sua lunga carriera a Bruxelles ha sempre dato buone prove, sia come commissario europeo sia come presidente del Parlamento europeo, sia come vice presidente del Ppe.
D’altra parte Forza Italia dovrà lavorare in questo senso, come forza moderata che, allontanandosi da un populismo che secondo molti osservatori l’ha contraddistinta negli anni, potrà aiutare il prossimo governo a non portarsi su posizioni troppo estreme per essere utili all’Italia.
Giorgia Meloni non è del tutto sconosciuta a Bruxelles, ma dei attuali protagonisti della vita europea probabilmente nessuno ha avuto contatti diretti con lei, e tanto meno con le persone più in vista del suo partito. Anche Forza Italia, a dire il vero, a parte Berlusconi e Tajani ha oramai pochi dirigenti che si muovono con disinvoltura da queste parti. La Lega, essendo stata al governo in passato e negli ultimi anni ha qualche rapporto in più. Ma in sostanza è una coalizione sconosciuta, della quale non si conoscono affidabilità e credibilità. Sarebbe bene non arrivare qui con il coltello fra i denti ed una serie di progetti confusi e lavorare, pragmaticamente, ad un programma chiaro, e realizzabile, che può ovviamente anche prevedere una riforma totale dell’Unione, non è che non ce ne sia bisogno, ma c’è bisogno di capire con chi si ha a che fare. E prima questo accade, meglio sarà per l’Italia, qualsiasi posizione abbia il governo.