Che cosa è accaduto in Italia che ha consentito alla destra di stravincere le elezioni, consegnando anche una sinistra prossima al crollo definitivo e già così divisa e litigiosa da averlo anticipato senza appello nella forma e nella sostanza?
Potremmo tornare ad analizzare tutti i fatti e gli errori che si sono succeduti in questi ultimi anni ma io credo che quel che accade oggi sia figlio di ciò che avvenne il 12 e il 13 maggio del 1974; anzi: di ciò che non avvenne subito dopo.
Il 12 e 13 maggio del ’74 gli italiani si recarono alle urne per deliberare sull’abrogazione del divorzio. Con un’affluenza del 88%, il 60% delle donne e degli uomini italiani intesero confermare il diritto dei coniugi ad annullare il matrimonio. Un Paese in larga parte cattolico e almeno sedicente praticante, in cui il partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani, al potere ininterrottamente dal ’46, aveva promosso la battaglia antidivorzista, in cui i parroci erano scesi in campo e in cui anche il segretario del Movimento Sociale, Giorgio Almirante, pur essendo personalmente divorzista, non ebbe il coraggio o la forza di opporsi alla linea conservatrice del proprio partito, un Paese siffatto votò a larga maggioranza per i diritti civili, per la libertà individuale di scelta.
In quel maggio, in realtà, la coscienza civica degli italiani superò abbondantemente la capacità di riforma e di trasformazione dei partiti, in particolare delle due “chiese” politiche che, con oltre il 70% dei voti, rappresentavano in Parlamento e fuori la Nazione: DC e PCI. Nel 1974 gli italiani si mostrarono pronti al cambiamento, pronti a vedere il loro paese indirizzarsi verso una cultura politica più democratica, più moderna, più europea, più vicina al mondo anglosassone o a quello francese: il voto a favore del divorzio, però, non fu compreso dalla classe politica nella sua valenza innovativa e nella sua richiesta di innovazione; la politica non seppe cavalcarne la tigre, proponendo nuovi modelli sia di rappresentanza sia di riforma del sistema. I due partiti-pachidermi restarono immobili e, con loro, immobilizzato rimase il sottobosco dei cosiddetti partiti laici. Fu quello il momento opportuno per il cambiamento, invece nessuno volle rischiare, nelle fumose stanze delle segreterie di partito, e tutto rimase com’era mentre tutto era cambiato, tutto poteva cambiare.
Poi venne il socialismo craxiano che, tra molti errori, ebbe almeno la vista lunga, immaginando la crisi del sistema e proponendo delle riforme costituzionali che videro il PCI di Berlinguer contrario a priori (da risentire l’intervista a Emanuele Macaluso che racconta del fallimento dell’incontro Craxi – Berlinguer), mentre la DC lasciava fare ben felice di assistere a quel naufragio. Venne poi Mani pulite che, in realtà, eliminò i pezzi da novanta lasciandoci in mano ai loro portaborse, così che oggi li rimpiangiamo tutti e invochiamo il CAF come fosse la Santissima Trinità.
Nell’arco di mezzo secolo, infatti, quella maturità culturale e sociale degli italiani, manifestatasi con il voto sul divorzio, si è estinta, lasciandoci preda delle bufale di Facebook, abbindolati da chi strilla di più, affascinati dalla furbizia di chi ci fotte palesemente i soldi e il prestigio e invidiosi di ricchi ottuagenari che ancora vanno dietro alle gonne. Quel balzo in avanti del ’74 non fu coltivato, non trovò modo di radicarsi, di crescere, di fiorire; non fu compreso e, piano piano, non solo è morto, ma si è involuto, fino a trasformarci in no-vax, in coloro che pensano che “Mussolini ha fatto anche cose buone”, in quelli dalla memoria molto corta che dicono “non hanno mai governato, lasciamoli provare”, in nemici dei diritti civili, contrari all’aborto, al fine vita, alla tutela delle minoranze, delle diversità; a talebani religiosi per cui papa Francesco viene definito un “antipapa”, un usurpatore, nemico della chiesa.
Dov’è finito quello slancio civile del ’74? Dove quelle affluenze all’orlo del 90%? Dove quel desiderio di partecipazione, di impegno, di conoscenza?
Il problema non è se la Meloni sia o no fascista o postfascista: il problema, per l’Italia e anche per l’Europa e se questo popolo sia italiano o postitaliano.