Bruxelles – Due politiche migratorie completamente agli antipodi, che convivono nello stesso momento e nella stessa Unione Europea. A est, Polonia e Lituania hanno completato i rispettivi muri al confine con la Bielorussia, coprendo oltre 700 chilometri, mentre a sud la Slovenia ha iniziato e sta portando avanti lo smantellamento delle barriere di filo spinato che dal 2015 sono rimaste in piedi per impedire l’attraversamento della frontiera con la Croazia da parte delle persone migranti lungo l’ultimo tratto della rotta balcanica.
Gli ultimi segmenti della barriera fisica al confine tra Lituania e Bielorussia sono stati ultimati da Vilnius a fine agosto, a poco più di un anno dall’annuncio di spesa di 41 milioni di euro (lievitato poi a circa 50) per la costruzione di una barriera di filo spinato con la Bielorussia. La motivazione utilizzata dal governo lituano è stata la cosiddetta “guerra ibrida” (come è stata definita non solo dai Baltici, ma anche da Bruxelles) condotta dall’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, e caratterizzata dall’organizzazione di viaggi per i cittadini dei Paesi del Medio Oriente e dall’Africa subsahariana verso Minsk e di lì verso le frontiere dell’Ue. Ma a causa della mancanza di sufficiente filo spinato per coprire i 550 chilometri di confine (i restanti 130 sono ‘assicurati’ da barriere naturali come fiumi e laghi), le autorità lituane sono dovute ricorrere alla solidarietà di altri Paesi membri e, parallelamente, sono state tra le più attive tra i Ventisette per spingere le istituzioni Ue a finanziare i muri alle frontiere esterne dell’Unione con fondi comunitari. “La barriera fisica aiuterà la guardia di frontiera a combattere più efficacemente l’immigrazione clandestina e i crescenti flussi migratori registrati quotidianamente”, ha dichiarato la premier lituana, Ingrida Šimonytė.
È stato completato invece in meno di sette mesi “il più grande investimento infrastrutturale nella storia” della guardia di frontiera della Polonia, sempre al confine con la Bielorussia (e per le stesse ragioni della Lituania). L’ultimo tra i muri costruiti lungo il confine esterno dell’Ue è lungo 186 chilometri, è alto 5,5 metri, è dotato di rilevatori di movimento e telecamere termiche ed è costato complessivamente 1,6 miliardi di złoty (351 milioni di euro). Oltre alla barriera d’acciaio, dal settembre dello scorso anno Varsavia ha inviato migliaia di truppe e agenti di polizia per rafforzare il controllo dell’area, chiudendo l’accesso a una striscia di terra larga tre chilometri a giornalisti e organizzazioni non governative che monitorano i pushback (respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea) effettuati dalle forze polacche. Non si può non rilevare la contraddizione polacca nel respingimento violento di poche migliaia di persone migranti lungo il settore settentrionale del confine orientale e l’enorme sforzo di solidarietà e accoglienza a poche decine di chilometri più a sud nei confronti dei rifugiati ucraini in fuga dall’invasione russa.
Contemporaneamente, a meno di mille chilometri di distanza, il nuovo governo di Lubiana ha invertito una rotta in politica migratoria che ormai durava da più di sette anni. Tra le primissime misure annunciate a giugno dal centrosinistra verde e liberale del premier Robert Golob è comparso anche lo smantellamento della barriera di filo spinato lunga 116 chilometri sul confine tra Slovenia e Croazia. Il muro d’acciaio era stato voluto nell’autunno 2015 dall’allora premier centrista Miro Cerar ed era stato prolungato fino alla lunghezza attuale dal successore Marjan Šarec. Era poi diventato il pilastro della politica del leader nazionalista Janez Janša in carica dal 2020 alla primavera del 2022, perfettamente in linea con le spinte verso la chiusura delle frontiere e il respingimento illegale di persone migranti in buona parte del perimetro esterno dell’Unione nell’ultimo decennio.
Dopo le promesse i lavori sono iniziati in piena estate al valico di di confine di Krmačina (presso Metlika) e sono attualmente in corso. Le motivazioni del riorientamento della politica migratoria slovena sono state fornite dalla ministra degli Interni, Tatjana Bobnar, con un focus più marcato sul rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto: “È inaccettabile che quel filo spinato diventi un elemento costante della politica confinaria“, dal momento in cui “i fatti hanno dimostrato che questa barriera non ha arrestato affatto il flusso di migranti, ma ha invece influito negativamente sulla vita a ridosso del confine, provocando peraltro la morte di persone e animali”. Lo stesso premier Golob ha sottolineato che la priorità deve diventare il miglioramento della gestione dei centri per richiedenti asilo, che al momento è “critica, perché il precedente governo [guidato da Janša, ndr] non ha voluto affrontare il problema”.
Come dimostrato dal rapporto tra muri innalzati e abbattuti nel 2022 ai confini esterni dell’Ue (736 chilometri contro 116), quella della Slovenia rimane un’eccezione non seguita da nessun altro Paese membro che negli ultimi anni abbia costruito barriere per respingere le persone migranti in arrivo lungo la rotta balcanica, bielorussa o del Maghreb. Secondo stime approssimative (arrotondate per difetto) la lunghezza complessiva dei muri sul continente europeo – o costruiti dai Paesi europei – è pari a 1700 chilometri, la stessa distanza da un capo all’altro dell’Ue, da Lisbona a Varsavia. Oltre ai più recenti in Lituania e Polonia, anche in Lettonia è in fase di costruzione una barriera in filo spinato di 136 chilometri (con la Bielorussia), a cui si sommano quelle dei Baltici e della Norvegia con la Russia e con l’exclave di Kaliningrad. Nella penisola balcanica tra il 2014 e il 2015 sono stati costruiti muri da Grecia, Bulgaria, Macedonia del Nord, Slovenia e Ungheria per arrestare quella che solo un anno più tardi sarebbe stata definita la “crisi dei migranti”, mentre dal 2020 anche la Serbia ha iniziato i lavori per costruire una barriera al confine meridionale con la Macedonia del Nord: in totale si superano gli 850 chilometri, sottratto il tratto in smantellamento in Slovenia. Più contenuti i muri delle exclave spagnole nel Nord Africa di Ceuta e Melilla (teatro comunque di numerose tragedie umanitarie), quello che dal 1974 separa in due l’isola di Cipro, i “muri della pace” dell’Irlanda del Nord (che dovrebbero essere abbattuti nel 2023) e la recinzione francese che conduce al porto di Calais, porta verso il Regno Unito.