Bruxelles – Non si andrà al muro contro muro, la posta in palio è troppo alta anche per Viktor Orbán. Il rischio di perdere i 7,5 miliardi di fondi di coesione Ue che la Commissione ha proposto di congelare per le violazioni dello Stato di diritto dell’Ungheria è troppo concreto per continuare a tirare la corda. Ed è per questo che alla fine Budapest non si giocherà le proprie carte in Consiglio – alla ricerca di un’improbabile minoranza di blocco anti-Bruxelles – ma percorrerà finalmente la strada dell’allineamento alle richieste delle istituzioni comunitarie sul rispetto delle norme anti-corruzione.
“Le 17 misure che abbiamo proposto alla Commissione sono adatte a bloccare la procedura” attivata dal meccanismo sullo Stato di diritto, ha sostenuto la ministra della Giustizia, Judit Varga, arrivando oggi (martedì 20 settembre) al Consiglio Affari Generali. “Abbiamo davanti a noi un periodo molto intenso, siamo pienamente impegnati ad applicare le misure anti-corruzione per la protezione del bilancio dell’Unione”, ha aggiunto, chiedendo agli altri Paesi membri di essere “costruttivi e tolleranti”, perché “prima della metà di novembre non possiamo attuare le riforme, è una questione matematica“. La data di riferimento è il 19 ottobre, entro cui Budapest dovrà informare la Commissione sull’implementazione delle misure promesse con la lettera del 22 agosto: “Dobbiamo mettere in piedi nuove istituzioni e assumere personale”, ha ricordato la ministra ungherese. Ecco perché si potrebbe delineare una deroga di due mesi alla decisione del Consiglio sul congelamento dei fondi di coesione, se l’Ungheria di Orbán dimostrerà di essere concretamente impegnata a mettere fine ai rischi di violazione del budget dell’Unione per quanto riguarda il public procurement (spesa pubblica destinata all’acquisto diretto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione), audit (valutazioni indipendenti di controllo delle spese), trasparenza, prevenzione delle frodi e corruzione.
Nel frattempo a Budapest il governo ha già presentato in Parlamento i primi provvedimenti del pacchetto di riforme necessarie per mettere in salvo i fondi Ue previsti per l’Ungheria (ed entro venerdì 23 settembre dovrebbero arrivare i rimanenti). La normativa disciplina le modalità di collaborazione tra l’Ufficio nazionale fiscale e doganale e l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), introduce norme più severe sugli appalti pubblici e sui conflitti di interesse per i fondi fiduciari di interesse pubblico ed è attesa l’istituzione sia di un’autorità indipendente per la lotta alla corruzione sia di un gruppo di lavoro per monitorare la spesa dei fondi europei. Più che le polemiche sulle proposte del gabinetto von der Leyen da decidere in seno al Consiglio, l’esecutivo ungherese sta insistendo ripetutamente sull’importanza della decisione di Bruxelles di concedere tempo fino a metà novembre per evitare il congelamento dei fondi Ue. E questo la dice lunga su quanto sia cambiato il clima a Budapest. “Il governo non ha intenzione di non rispettare gli impegni presi, consideriamo la decisione di domenica della Commissione Europea come un significativo passo avanti”, ha commentato il portavoce del primo ministro, Zoltán Kovacs, sottolineando che “l’Ungheria non è mai stata così vicina alla firma dei documenti sui fondi di coesione e di ricostruzione”.