Bruxelles – Più flessibilità ai governi su come e quando raggiungere la riduzione dei consumi di elettricità, per risparmiare energia. La presidenza della Repubblica Ceca, alla guida semestrale del Consiglio Ue, cerca un compromesso in tempi rapidi sulle misure di emergenza contro l’aumento dei prezzi presentate settimana scorsa dalla Commissione Ue e ha presentato alle Capitali una bozza di compromesso che che sarà discussa domani dagli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti al Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue.
La Commissione europea ha proposto la scorsa settimana di introdurre un obiettivo obbligatorio di riduzione del consumo di elettricità del 5 per cento durante le ore di picco dei prezzi, un tetto pari a 180 euro/megawattora sugli extra profitti dei produttori di energia elettrica non da gas e a costi bassi (come le rinnovabili, il nucleare), un contributo di solidarietà pari al 33 per cento dalle imprese attive nel fossile e sostegni mirati alle imprese energetiche in forma di liquidità. A quanto si apprende, la presidenza di Praga si sta muovendo intanto per garantire che gli Stati membri abbiano “più flessibilità” su quando e come attuare questa riduzione (pur mantenendo il taglio obbligatorio del 5 per cento), in primis rivedendo la definizione di “ore di punta” della domanda, che non dovrebbero più essere calcolate solo in base all’aumento dei prezzi dell’energia (come nella proposta di Bruxelles) ma anche in termini di consumi effettivi di energia. Nella bozza, di cui abbiamo preso visione, si legge che per ore di punta si devono intendere “le ore del giorno in cui, sulla base delle previsioni dei gestori dei sistemi di trasmissione si prevede che i prezzi all’ingrosso del giorno prima siano i più alti”, o “il consumo lordo di energia elettrica sia il più alto o il consumo lordo di energia elettrica generata da fonti diverse dalle fonti rinnovabili sia il più alto”.
Sempre per la stessa logica, quando si parla di riduzione dei consumi di elettricità si propone di calcolarli su un periodo di quattro mesi (01/12/2022-31/03/2023), anziché su base mensile come dalla proposta della Commissione. “Ciascuno Stato membro deve individuare le ore di picco corrispondenti complessivamente ad almeno il 10 per cento di tutte le ore del periodo compreso tra il 1° dicembre 2022 e il 31 marzo 2023”, si legge nel documento. E ancora “la riduzione ottenuta nelle ore di picco dei prezzi individuate deve raggiungere almeno il 5 per cento in media all’ora”.
Quanto al tetto sui ricavi dei produttori di elettricità inframarginali, il cap rimane pari a 180 euro/megawattora, come proposto dall’Esecutivo comunitario. Ma oltre all’elenco proposto dalla Commissione dei produttori di energia elettrica non da gas ma a basso costo (che comprende energia eolica, solare, geotermica; idroelettrica senza serbatoio; combustibile da biomassa, escluso il bio-metano; rifiuti; energia nucleare, lignite; petrolio greggio e altri prodotti petroliferi), la presidenza di Praga propone di includere tra le tecnologie inframarginali anche la torba e di dare la possibilità agli Stati membri di introdurre un tetto massimo anche quando i costi di produzione di elettricità superano i 180 euro/kWh. Il 33 per cento dei profitti in eccedenza dell’industria fossile dovrebbe essere redistribuito attraverso il cosiddetto contributo di solidarietà ma secondo Praga il contributo può essere sostituito da “misure nazionali equivalenti”. Infine, a quanto si apprende, la presidenza propone di introdurre un articolo aggiuntivo per consentire ai governi di usare le entrate derivanti dal commercio transfrontaliero per i sostegni a famiglie e imprese. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri Ue si riuniranno domani a Bruxelles per discutere di nuovo le misure di emergenza sulla base della proposta di Praga, per preparare la discussione tra i ministri europei dell’energia che si terrà il 30 settembre a Bruxelles in un Consiglio straordinario. Per approvare le misure, è necessaria una maggioranza qualificata in Consiglio, che si ottiene quando il 55 per cento degli Stati membri vota a favore (15 paesi su 27) o quando gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65 per cento della popolazione totale dell’UE.