Strasburgo, dall’inviata – Aprire una convenzione per riformare l’Unione europea.Stavolta l’invito non arriva dal Parlamento europeo – notoriamente a favore di una revisione dei trattati sui cui l’Ue si fonda -, ma da Ursula von der Leyen che sceglie il Discorso sullo stato dell’Unione pronunciato ieri (14 settembre) di fronte all’Eurocamera per dire a tutti che è tempo di riforme per rendere “seria” e credibile l’Unione europea di fronte alle sfide di domani.
“Qualcuno potrebbe dire che non è il momento giusto, ma se vogliamo davvero prepararci al mondo di domani, dobbiamo essere in grado di intervenire sulle questioni che stanno più a cuore alle persone”, ha detto ieri la presidente della Commissione europea di fronte agli eurodeputati, che a giugno hanno sostenuto proprio a Strasburgo una risoluzione per avviare l’iter di revisione dei trattati. “Dato che ci stiamo impegnando seriamente per allargare l’Unione, dobbiamo impegnarci seriamente anche per riformarla, è giunto il momento di una convenzione europea”, ha aggiunto la tedesca.
Von der Leyen non è entrata nel merito di quali iniziative di riforma sarebbe necessario attuare attraverso una convenzione, ma si era già esplicitamente espressa a favore di una riforma dell’Unione europea, per superare ad esempio il sistema di voto all’unanimità che in politica estera rallenta (se non blocca) il processo decisionale. E di affrontare il tema della riforma senza tabù, quindi senza escludere a priori la revisione dei trattati. Il dibattito è stato rilanciato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, l’inedito esercizio di democrazia partecipativa nella storia dell’UE che per quasi dodici mesi ha portato 800 cittadini – casualmente selezionati da tutti e Ventisette gli Stati membri – a sedersi sugli scranni dell’Emiciclo di Strasburgo per discutere di futuro dell’Unione Europea e per individuare con quali priorità andare a rendere più solido il progetto di integrazione comunitaria. L’esercizio ha avuto il merito di riaprire il dibattito sulla necessità di aprire la convenzione e riformare i trattati per risolvere alcune carenze del progetto europeo, a partire dalla lentezza con cui si prendono le decisioni a livello comunitario su temi sensibili come le sanzioni o più in generale la politica estera. Ma le Capitali restano divise e in maggioranza restie ad abbracciare la revisione dei trattati.
Dopo la fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, il processo si è velocizzato in maniera evidente. Prima le parole di von der Leyen a sostegno della riforma lo scorso 9 maggio, poi la risoluzione votata a Strasburgo per conferire il mandato alla presidente Metsola di avviare l’iter per una riforma dei trattati. Nei fatti si tratterebbe di applicare l’articolo 48 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede che qualunque “governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possano sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati”. Qualora il Consiglio europeo, “previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adotti a semplice maggioranza una decisione favorevole all’esame delle proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o del governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione”.
Per aprire una convenzione servono 14 Stati membri in seno al Consiglio, una maggioranza semplice che non è facile da trovare. Mentre ancora doveva calare il sipario sui lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa un gruppo di tredici Paesi europei – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia – si è opposto con fermezza alla modifica dei Trattati europei, facendo circolare un non-paper in cui hanno definito “prematuro” aprire la riforna dei trattati. Con 13 Paesi membri su 27 contrari alla convenzione, un vero e proprio dibattito tra i capi di stato e di governo ancora non c’è stato ma è un fatto che senza la convocazione di una convenzione, la sede in cui legittimare una discussione sulla revisione dei trattati, lo spirito di questo esercizio rischia di essere ridimensionato.