Finalmente, anche se con grave ritardo, l’Europa sembra aver deciso di muoversi sul caro-energia e sul caro-gas. In particolare il vicecancelliere e ministro dell’economia tedesco Robert Habeck ha comunicato al suo omologo italiano Roberto Cingolani la disponibilità della Germania a discutere del cosiddetto price cap al Consiglio europeo straordinario dell’energia che si terrà il 9 settembre.
La novità è molto importante perché i tedeschi fino ad oggi si erano sempre opposti a questa proposta, avanzata da Mario Draghi sin dal mese di marzo ma rimasta lettera morta.
Ma che cosa si intende per price cap?
Significa introdurre un limite di prezzo oltre il quale i paesi membri dell’Unione non saranno più disposti ad acquistare gas naturale. La cosa dovrebbe essere attuata con un Acquirente Unico capace di acquistare 600 miliardi di metri cubi l’anno, e quindi dotato di un enorme potere di mercato. Un po’ come l’Unione ha fatto con successo centralizzando l’acquisto dei vaccini ed evitando una corsa all’accaparramento degli stessi da parte dei singoli Paesi che avrebbe fatto esplodere il prezzo dei vaccini stessi.
Nel caso del gas però il tema è assai più complicato per una serie di ragioni.
- Siamo in presenza di un vero squilibrio tra domanda e offerta. Il gas manca a causa del ricatto russo ai Paesi europei. Gazprom, il colosso russo del gas, ha tagliato dell’80% le forniture del gasdotto North Stream 1, quello che arriva in Germania, e ha tagliato del 60% le forniture che attraverso altre condotte arrivano in Austria e in Italia. Nonostante le attività sostitutive del gas russo messe in atto da molti Paesi e in particolare dall’Italia, quest’inverno e forse in parte anche in quello prossimo permarrà una carenza di gas rispetto alla domanda.
- In presenza di un’offerta tenuta artificiosamente scarsa per ragioni geopolitiche, la sola vera risposta importante che si può dare per cercare di contenere i prezzi prima di arrivare alla completa autonomia dalle forniture russe è la diminuzione dei consumi per cercare di riavvicinare la domanda all’offerta disponibile.
- Immaginare un’operazione di Acquirente Unico, come per i vaccini, significa chiudere il mercato attuale e cioè la Borsa del gas di Amsterdam con il suo TTF ma ciò è estremamente complicato perché su questa Borsa ci sono contratti e impegni futuri che è arduo eliminare.
- Se permane la Borsa di Amsterdam, con il suo prezzo che si forma con l’incrocio di domanda e offerta e con transazioni anche virtuali e speculative, come in tutte le borse del mondo, nessuno può garantire che il price cap sia accettato dai fornitori, non solo quelli via tubo ma anche quelli che mettono a disposizione navi di LNG; vi è così il rischio che a un prezzo imposto, amministrato, ovviamente più basso di quello di mercato i fornitori vendano e/o dirottino le navi altrove per cercare un prezzo migliore.
- Per ottenere qualche risultato occorrerebbe quindi compensare con risorse pubbliche la differenza tra prezzo di mercato e prezzo amministrato; con il rischio però, tenuto conto del potere di mercato dominante dell’offerta, che questo sostegno o sussidio venga immediatamente introitato dai fornitori con un ulteriore aumento del prezzo di vendita del gas. Vi è il rischio cioè che il price cap, se mal gestito, diventi un ennesimo regalo a Putin.
Quali sono allora le reali possibilità che un intervento europeo mitighi effettivamente i danni della situazione attuale che sta diventando totalmente insostenibile per famiglie e imprese? E soprattutto in che direzione dovrebbe andare questo intervento?
A mio giudizio a livello generale, e cioè per la generalità dei consumatori, imprese e famiglie, bisogna seguire gli indirizzi del regolamento europeo ‘Save gas for a safe winter’, che individua le riduzioni dei consumi di gas sia per le famiglie che per le imprese come l’arma principale per il contenimento e il raffreddamento dei prezzi.
La direttiva europea parla di interventi di incentivi alla riduzione dei consumi. Bisogna cioè favorire e indennizzare le imprese che volontariamente riducono le loro produzioni aiutando il sistema a ridurre i consumi energetici. Solo in un secondo tempo, e solo se necessario, si può passare a razionamenti obbligatori.
E la stessa cosa bisogna fare per le famiglie: più riducono volontariamente i consumi, più devono essere sostenute con contributi pubblici per la mitigazione del caro bollette.
Da chi e come possono essere finanziati questi indennizzi e mitigazioni?
Lo si deve fare a livello europeo. Lasciare operare i singoli stati autonomamente come è avvenuto fino ad oggi distrugge il mercato unico, creando asimmetrie competitive inaccettabili. I siderurgici spagnoli e francesi, ad esempio, grazie ai forti interventi dei loro governi a favore delle imprese energivore pagano l’energia elettrica sette otto volte di meno di quelli italiani. È accettabile tutto ciò? Evidentemente no.
Bisogna trovare allora una misura finanziaria comune europea. L’ideale sarebbe una riedizione del Recovery Fund creato per fronteggiare le conseguenze della pandemia con il lancio di un Energy Recovery Fund. Ma in Europa ci sono forti resistenze a fare di nuovo debito comune.
E allora l’idea potrebbe essere, con l’intesa di tutti i Paesi europei – e probabilmente i regolamenti vigenti lo consentirebbero – di utilizzare una quota parte del Pnrr (un 20%? sarebbe pari a circa 140-150 miliardi di euro) per finanziare indennizzi e mitigazioni a famiglie e imprese.
In ogni caso non può esistere che un problema economico di qualche centinaio di miliardi di euro ostacoli la salvezza dell’economia europea: è inconcepibile che l’Europa a 27, con un PIL che supera i 17 mila miliardi di euro, si faccia mettere sotto scacco da un’economia come quella russa che ha un prodotto interno lordo inferiore a quello della Spagna.
È solo una questione di volontà politica e di capacità di leadership. Purtroppo l’Italia e l’Europa un leader ce lo avevano, e sarebbe stato fondamentale in questo momento di grande difficoltà, ma come sappiamo tutti un gruppo di forze politiche irresponsabili lo ha mandato a casa.