Bruxelles – La complessità ridotta a slogan elettorale, ma con implicazioni difficili da prevedere e nella maggior parte dei casi quasi irrealizzabili. Tra le proposte dell’Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra della coalizione formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia in materia di migrazione e asilo compare anche la “creazione di hotspot nei territori extra-europei, gestiti dall’Ue, per valutare le richieste d’asilo“. Un progetto dai contorni indefiniti, che integra un’altra proposta irrealizzabile dal punto di vista del diritto internazionale e comunitario, ovvero quella sul blocco navale.
Gli hotspot sono centri di prima accoglienza, allestiti per identificare, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali delle persone migranti in aree dei Paesi membri Ue particolarmente esposte agli arrivi. Alle frontiere esterne dell’Unione sono presenti dieci di queste strutture, cinque in Italia (Lampedusa, Trapani, Pozzallo, Messina e Taranto) e cinque sulle isole della Grecia (Chios, Kos, Leros, Lesbo e Samos). In questo caso però si tratta di hotspot sul territorio Ue, per garantire il rispetto del principio di non respingimento sancito all’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue): “L’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale“. L’accesso al territorio è un principio sancito in primo luogo dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, come messo in luce anche dall’alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): “I Paesi non devono imporre sanzioni ai rifugiati per il loro ingresso e la loro presenza illegale sul territorio, a condizione che si presentino alle autorità e dimostrino una buona causa”, e devono inoltre “consentire un accesso senza ostacoli alle procedure di asilo”.
La proposta di creare hotspot al di fuori del territorio Ue va incontro invece a una serie di complessità che, nei fatti, andrebbero a negare il principio di non respingimento. In primo luogo, servirebbe un accordo con tutti i Paesi di frontiera con l’Unione Europea per la creazione di strutture direttamente gestite dalle agenzie Ue, in altre parole strutture extra-territoriali dove vige il diritto comunitario: un accordo talmente complesso che non era stato raggiunto nemmeno qualche anno fa per tentare di svuotare i lager libici e far intervenire Frontex. Si rischierebbe così di ripiegare su una soluzione di compromesso, come quella recentemente percorsa dal Regno Unito con il Rwanda: far gestire i centri dalle autorità nazionali dei Paesi che ospiterebbero tali hotspot. Lo scorso 14 giugno la Corte europea dei diritti umani si è però opposta alla deportazione di richiedenti asilo da Londra a Kigali, sottolineando che sussiste il rischio di trattamento contrario ai diritti della Convenzione del richiedente sul negato accesso a procedure “eque ed efficienti” per la determinazione dello status di rifugiato.
Ammesso e non concesso che Bruxelles riesca a trovare un accordo con tutti i Paesi di confine per la gestione diretta degli hotspot, dovrebbero essere affrontate tutta una serie di questioni logistiche che già si stanno mostrando di complessa gestione sul territorio Ue. Prima di tutto il tema delle garanzie sugli standard minimi che i centri di prima accoglienza devono rispettare: solo due anni fa il campo di Moria a Lesbo veniva distrutto da un incendio, facendo ricordare all’Europa il dramma di più di 12 mila persone bloccate in centri sovraffollati (a settembre 2020 il campo ospitava un numero di migranti pari a più di sei volte la sua capienza massima). In secondo luogo, la vaga proposta della destra non tiene in considerazione il destino delle persone la cui richiesta di asilo viene respinta, in particolare su quali autorità dovrebbero prendersene carico per un verosimile rimpatrio: sarebbero mobilitate le risorse degli Stati membri Ue o la responsabilità ricadrebbe sugli Stati ospitanti (aumentando il carico di complessità di un accordo alla base)? E infine si ritorna al tema del non-respingimento. Se si incrociano i punti del programma elettorale della coalizione FdI-Lega-FI – hotspot extra-Ue e blocco navale – si intuisce facilmente che l’obiettivo è la militarizzazione dei confini dell’Unione e l’esternalizzazione del processo di valutazione delle richieste di asilo, fuori dalle porte della fortezza Europa.