Le liste elettorali per il voto del 25 settembre sono state presentate, e, se lo cose andranno come i candidati sperano, la rappresentanza italiana al Parlamento europeo perderà le sue forze migliori.
Non voglio qui dare un giudizio politico e men che meno personale su Silvio Berlusconi o Carlo Calenda, su Simona Bonafé o Raffaele Fitto, ma sta di fatto che donne e uomini tra i migliori che ogni singola forza politica aveva deciso di candidare a Strasburgo, probabilmente (glielo auguriamo) torneranno o approderanno per la prima volta nel Parlamento italiano.
L’elenco è lungo, sono dodici persone (in maggior parte del centro-destra), più una che corre per la presidenza della Regione Sicilia che fa tredici, secondo i calcoli del collega Federico Baccini che ha fatto un certosino lavoro di verifica. E sono ovviamente nomi forti, nomi che possono richiamare voti, e che faranno la loro parte a Roma.
Magari sbaglio, magari Antonio Tajani, candidato di Forza Italia, una volta eletto poi rinuncerà e resterà nell’Eurocamera, ma voglio pensare che siano tutte persone affidabili, che se dicono che corrono per Roma se eletti andranno a Roma.
Perché lo fanno? Perché il Parlamento nazionale, sia visto dagli scranni della maggioranza sia da quelli dell’opposizione è evidentemente più attraente, è visto come più prestigioso, ci si sente più coperti di onore.
L’Unione europea, come capita spesso, è bistrattata, è per la propria carriera una seconda scelta, per le proprie politiche o bastone o carota da agitare davanti agli elettori, a seconda delle posizioni, a seconda del momento.
Persone come Berlusconi, Calenda, Fitto e altri (non tutti) in questa lista non hanno un grande bagaglio di provvedimenti proposti, seguiti, o dei quali sono stati relatori a Strasburgo. Non lo hanno perché di norma sono esponenti di vertice dei loro partiti, e anche giustamente si occupano di un livello superiore dell’attività politica, rispetto al quotidiano lavoro parlamentare. Magari sottoscrivono una proposta, un’interrogazione, per darle peso, ma difficilmente sono i relatori, quelli che portano avanti il lavoro verso l’approvazione.
Non lo hanno fatto al Parlamento europeo e non lo faranno in quello nazionale (anche qui, non tutti). Ma sempre parlamentari eletti sono, e le assenze fisiche che faranno registrare a Roma saranno in linea con quelle di Strasburgo e Bruxelles.
Allora perché non restare lì, anche solo simbolicamente, a dimostrare quanto importante è l’Unione europea per l’Italia, quanto l’Italia tiene al suo ruolo a Bruxelles? Perché, forse, non ci si tiene, o, almeno, non ci tengono tutti. Dunque il Parlamento europeo si trasforma talvolta in palestra per nuovi dirigenti, ma più spesso, purtroppo, in dorata casa di riposo per vecchie glorie.