I pochi giorni di vacanza non afflitti dalle pressioni quotidiane, se non da un caldo che non ha dato tregua, inducono alla riflessione su ciò che ci aspetta alla ripresa. Famiglie e imprese si interrogano sull’autunno che verrà. Tra gli operatori economici, ma anche nelle famiglie, il sentiment prevalente è di grande incertezza.
La situazione italiana non è avulsa dal quadro globale. Siamo un’economia a forte contenuto di esportazioni e quindi il legame con il resto del mondo è, con tutta evidenza, molto importante. Allo stesso tempo ci sono alcune peculiarità del nostro Paese, che rendono la prospettiva se possibile ancora più incerta.
In particolare le peculiarità, sulle quali torneremo più diffusamente in seguito, sono sia negative che positive.
Partiamo da quelle positive: la crescita congiunturale del PIL italiano nel secondo trimestre è stata molto forte, +1%, collocando l’Italia, per crescita tra il quarto trimestre 2020 e il secondo trimestre del 2022, alla testa di tutti i Paesi industrializzati.
Variazione % del PIL tra il 4 trimestre 2020 e il 2 trimestre 2022
Italia 7,6
Corea del Sud 5,6
Francia 5,4
Canada 5,2
Usa 4,9
Cina 2,7
Germania 2,0
(Fonte: Elaborazione Fondazione Edison sui dati Ocse)
Ciò significa che l’economia italiana affronta la seconda parte dell’anno sull’abbrivio di questa importante crescita, precedente e attuale. I dati sul turismo nel periodo estivo sono spettacolari.
La peculiarità negativa viene dalla situazione politica: come è stato possibile che il Governo Draghi, artefice di tale brillante crescita, sia stato costretto a dare le dimissioni per il venir meno della fiducia di tre leader in forte declino e del tutto incuranti dell’interesse nazionale?
Ma andiamo con ordine e partiamo da una breve analisi della situazione internazionale con riferimento alle principali economie.
Inflazione, crisi energetica soprattutto in Europa e incertezze politiche generali con il perdurare del conflitto russo-ucraino caratterizzano lo scenario mondiale. Il rischio avvertito da molti osservatori è di una combinazione tossica tra rallentamento dell’economia globale e una stabilizzazione dell’inflazione ad un livello mai visto da decenni.
La Germania, prima economia europea e fondamentale per l’Italia per i forti legami esistenti tra i reciproci sistemi industriali, presenta la situazione più critica. Forte dipendenza dal gas russo e modello di sviluppo (grandemente basato sull’interscambio con l’Asia) afflitto dalle strozzature delle supply chain fanno sì che dopo due decenni di primato e di alte performance l’economia tedesca sia oggi il vagone di coda dell’economia europea. Forte contrazione dei consumi e produzione industriale in difficoltà affliggono il quadro congiunturale. Il governo tedesco, forte anche di un rapporto debito/PIL formidabile (ancora oggi, dopo il Covid, siamo al 69%, in Italia è il 152%!!) sta varando una serie di misure di sostegni e riduzioni fiscali mai viste prima nel tentativo di evitare la recessione.
Gli Stati Uniti d’America dopo una forte crescita nel 2021 (+ 6,2%) vedono prospettive che si stanno deteriorando di trimestre in trimestre. La crescita stimata dal Fondo Monetario Internazionale per il 2022 non supera il 2%. Causa principale del rallentamento l’inflazione, la più alta da 40 anni, che autorevoli osservatori dicono essere ben più alta del dato ufficiale del 9%. Si tratta di un’inflazione diversa da quella europea, che è tutta causata dallo shortage energetico; negli Usa l’inflazione si è generata sul lato della domanda anche a causa delle enormi iniezioni di liquidità realizzate prima dall’amministrazione Trump e poi da quella Biden per combattere la pandemia.
La FED sta attuando politiche monetarie molto restrittive per raffreddare l’inflazione. Tali politiche, come è ovvio, nel breve hanno effetti negativi sulla crescita.
Inoltre anche negli Usa vi sono incertezze politiche grandi. In un quadro di profonda lacerazione politica le elezioni di midterm di novembre rischiano di essere negative per Biden, che in questo caso diventerebbe subito un’‘anatra zoppa’, con il rischio di un’ulteriore radicalizzazione dello scontro.
In Cina tira una brutta aria. Ciò non è solo conseguenza della fallimentare politica di contenimento del Covid, ma anche di altri fattori concomitanti.
Il PIL cinese nel secondo trimestre 2022 è cresciuto soltanto dello 0,4% (nel primo la crescita era stata del +4,8%). Se si fa eccezione per il primo semestre del 2020 con l’esplosione violenta degli effetti della pandemia, si tratta del peggior risultato dal 1992. Anche la produzione industriale in questo momento è molto al di sotto delle attese e la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli mai visti (a giugno ha toccato la cifra record del 20%).
Le politiche anticovid, basate quasi esclusivamente su lockdown draconiani, hanno provocato delle cadute di PIL che in determinate aree del paese sono state impressionanti: a Shangai la caduta rispetto all’anno precedente nei primi sei mesi dell’anno è stata del -13,7%.
Infine si registra una perdurante difficoltà del mercato immobiliare, che dopo la drammatica crisi del fondo Evergrande non sembra capace di risollevarsi.
Il combinato disposto di tutti questi fattori farà sì che la crescita nel 2022 non raggiungerà il 5% previsto. Si è spesso sentito dire che, a causa della mancanza di ammortizzatori sociali, quando la crescita in Cina scende sotto il 5-6% annuo si aprono in quel Paese acuti problemi sociali che rischiano di sfociare in problemi di ordine pubblico. Staremo a vedere.
Nel resto del Sud Est asiatico, se si fa eccezione per la Corea del Sud che continua a mostrare una discreta performance, le cose non vanno bene e spicca in particolare una totale stagnazione dell’economia giapponese.
Su questo quadro globale, tutt’altro che confortante, grava l’enorme incertezza del conflitto russo-ucraino. Non è chiara la strategia della Russia e di Putin. Fino ad oggi il Cremlino, che non ha fatto alcuna apertura negoziale, pare aver optato per una guerra di logoramento con bombardamenti continui, non solo nel Donbass, che sovente mietono vittime innocenti nella popolazione civile. Solo a fatica si è raggiunto un accordo sul grano, e il quadro dei rapporti economici con la Russia, con particolare ma non esclusivo riferimento all’energia e al gas, è destinato a rimanere perturbato per lungo tempo e ciò colpisce e colpirà soprattutto l’Europa.
E l’Italia?
Anche da noi non mancano le incertezze per la situazione economica mondiale e le sue ripercussioni, e per la situazione di crisi politica che ha portato all’elezioni con l’incredibile defenestrazione di Draghi.
Con gli Usa e la Germania in recessione, e la Cina in forte rallentamento, si va certamente verso tempi difficili.
Ma se riflettiamo bene su cosa è successo negli ultimi mesi dell’azione del Governo dimissionario con particolare riferimento alla eccellente gestione della pandemia (che ha consentito riaperture e ritorno delle attività di servizio e turistiche, per noi così importanti) e più in generale alla crescita record della nostra economia, mi pare che ci siano due chiare indicazioni anche per il governo che verrà. Indicazioni che abbiamo inserito nel titolo. L’Italia tiene, e anzi mostra una performance tra le migliori a livello mondiale, grazie a due fattori: politiche keynesiane di forte sostegno a famiglie e imprese (oltre 33 miliardi di euro negli ultimi sei mesi) e fortissima tenuta dell’industria italiana, che continua ad essere il miglior asset di cui il Paese dispone.
Come ci ricorda sempre Marco Fortis, l’Italia è tra i primi cinque Paesi al mondo per scambi della bilancia commerciale. Una capacità e versatilità che tedeschi e francesi non hanno. L’estrema ricchezza di prodotti e la diversificazione del sistema industriale italiano fanno sì che, se un settore rallenta, altri ripartono e compensano.
Il combinato disposto di questi due fattori, politiche keynesiane e forza del sistema industriale, ha consentito finora di mantenere una crescita significativa, sostenendo così un debito pubblico altrimenti ingestibile. Solo un continuo percorso di crescita può consentire all’Italia di diminuire senza traumi sociali il rapporto debito/PIL, e le imprese sono lo strumento per generare questa crescita; per questo esse vanno sostenute e difese perché possano restare competitive nel mondo. Altro che decrescita felice!
In cambio di questo sostegno, per contro, le imprese devono sempre più impegnarsi e aiutare lo Stato nelle politiche di inclusione sociale e di difesa dei redditi più bassi. Innovazione e competitività, ragionevoli politiche ambientali e di decarbonizzazione, inclusione sociale e difesa dei più deboli devono costituire l’agenda del nuovo governo, qualunque colore politico esso abbia.
Il sentiero è stretto, ma lo si può percorrere per consentire all’Italia di affrontare l’autunno che verrà.
Qualche volta anche i banchieri centrali hanno un cuore: le politiche keynesiane, disprezzate negli anni del turbocapitalismo, sono state insieme all’industria e alle imprese la chiave di volta della salvezza dell’Italia. In fondo, l’agenda Draghi è ‘sta cosa qui.