La campagna elettorale in Italia è partita, sotto gli ombrelloni, o raccolti davanti ai ventilatori di casa, si discute e si confondono gradi di temperatura con percentuali di tassazione che potrebbero arrivare. Spuntano anche i programmi, i candidati di qualche partito, si consumano storie di alleanze e di colpi di coltello alle spalle, e si scopre (si conferma, meglio) che l’Unione europea e più che altro una risorsa da sfruttare per racimolare voti o eletti e non un grande tema di sviluppo sul quale confrontarsi e con il quale avere uno strumento in più per favorire crescita ed ammodernamento.
La coalizione di centro sinistra ha deciso di candidare come capolista in Europa (che in larga parte coincide con l’Unione europea) per gli italiani residenti all’estero uno stimato medico, esperto di epidemie, di grande prestigio internazionale, persona rispettabile. I problemi degli italiani residenti all’estero, che sono assistiti dal sistema sanitario del Paese che li ospita e che le regole poste da questi governi anche contro le pandemie devono seguire, si troveranno dunque come prima candidato di quel fronte uno scienziato che nell’ultimo paio d’anni è diventato noto, ci si spiega, come “anti Zaia”, il governatore del Veneto. Per uno che vive a Charleroi, a Nancy o a Treviri, la cosa può avere un interesse, soprattutto se è veneto, ma, in sostanza, nel pratico, la cosa lo riguarda pochissimo, probabilmente per niente.
I problemi di un italiano all’estero sono i consolati che chiudono e che quando restano aperti non sono in grado di fornire i servizi di base come i documenti di identità: ci vogliono mesi per riuscire a prenotare un incontro e mesi per poi averlo. I problemi sono la totale assenza di scuole italiane, o per lo meno di corsi di cultura italiana per i ragazzi, italiani, che crescono all’estero. I problemi sono nella trasparenza dei sistemi di voto. I problemi sono anche nel sostanziale disinteresse ad andare a votare.
Ma per il centrosinistra il posto numero 1 nel collegio senatoriale Europa è un posto piuttosto sicuro, e dunque lì ci piazza il candidato che tiene a vedere eletto.
La coalizione di centro destra prende il progetto più importante della storia recente dell’Unione europea, quello che ne sta cambiando la natura anche nel senso desiderato dai partiti della coalizione, e annuncia che vuole cambiarlo. Ora, quel progetto, che oramai chiamiamo Pnrr, è nato perché Mario Draghi, ai tempi semplice pensionato, convinse Angela Merkel e Mark Rutte che era il caso di farlo. Lo pensò lui e lo impose, con la sola forza del ragionamento ai timorosi partner europei, che erano sempre fuggiti dall’idea di un debito condiviso e che, in particolare e con qualche solida ragione, non si erano mai fidati delle capacità dell’Italia di onorare i propri impegni. Il centro destra (che oramai è decisamente un destra centro, visto il peso dei partiti nei sondaggi) neanche ha vinto le elezioni e già ha messo in discussione quanto è stato concordato con grande fatica, in quella che fu definita una “svolta storica” nella storia europea. Non è un buon biglietto da visita.
Ovviamente l’Unione trema, perché l’Italia non è un Paese di peso economico relativamente basso come l’Ungheria o la Grecia, è un pezzo troppo grande e troppo importante dell’Europa perché possa affondare, ma dovrebbe tremare anche l’Italia, che potrebbe perdere in un soffio decine di miliardi (molti dei quali a fondo perduto, che cioè non vanno restituiti, tra l’altro).
La coalizione dei liberali è tutta da scoprire. Matteo Renzi e Carlo Calenda si conoscono da tempo, l’uno ha fatto l’altro ambasciatore presso l’Ue (per 40 giorni) e poi se l’è riportato a Roma per fare il ministro, perché, alla fine, Roma è sempre più importante, per troppi. Poi si sono odiati (secondo me ancora si odiano) ed infine, rimasti soli e lontani dal quorum hanno deciso questo abbraccio dello scorpione, che, è noto da favole antiche, non può fare a meno di pungere.