Bruxelles – Gas e la necessità di stoccarlo. Un mantra che non cessa di essere ripetuto da quando l’aggressione russa dell’Ucraina ha innescato una vera e propria crisi energetica. Eppure questa politica, oggi puramente emergenziale, era stata indicata come imprescindibile già nel 2015, in tempi di sostanziale normalità o comunque non di crisi. Uno studio realizzato per conto della commissione Industria del Parlamento europeo, già sette anni fa, sottolineava come “lo stoccaggio del gas svolge un ruolo importante per garantire la sicurezza energetica, soprattutto nelle regioni con una maggiore dipendenza dalle importazioni”. Non solo. Nel documento di 88 pagine si poteva leggere, già allora, che lo stoccaggio dell’energia “può contribuire efficacemente al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione dell’energia”, in termini di “sicurezza dell’approvvigionamento, efficienza energetica, decarbonizzazione dell’economia, ricerca, innovazione e competitività”.
Il documento è stato realizzato dopo l’annessione della Crimea, avvenuta nel 2014 e frutto di sanzioni e tensioni con Mosca. Un testo dunque che doveva servire da avvertimento e strumento per mettersi all’opera in vista di ulteriori deterioramenti della situazione. Eppure l’Europa degli Stati sembra aver fatto poco per evitare rischi, e sembra aver non dato ascolto ai suggerimenti che sono arrivati dall’Eurocamera. Non passa inosservato in Parlamento UE la natura “urgente” del piano della Commissione europea per ridurre la dipendenza e soprattutto la ricattabilità energetica dalla Russia, che impone agli Stati membri di riempire almeno l’80 per cento della loro capacità di stoccaggio entro l’1 novembre 2022 (obbligo che sale al 90 per cento negli anni successivi).
In Parlamento il problema della dipendenza russa se l’erano già posto. Un breve paragrafo sottolineava come “sei Stati membri (Stati baltici, Finlandia, Slovacchia e Bulgaria) dipendono dalla Russia come unico fornitore esterno. Lo stoccaggio del gas fornisce loro un cuscinetto” di fronte a possibili shock. Guardando il contenuto del documento di lavoro del 2015 e il modo precipitoso con cui il blocco dei Ventisette ha reagito alla crisi energetica e il rischio di tagli delle forniture, sembra che invece di farsi trovare pronto il club a dodici stelle si sia fatto trovare impreparato.
Già nel 2015 si poneva l’accento sul potenziamento dell’‘”uso transfrontaliero delle capacità di stoccaggio del gas tra gli Stati membri, soprattutto in situazioni di approvvigionamento di emergenza”. E’ questo il principio di solidarietà incluso nella strategia di inizio 2022. C’era poi la raccomandazione politica di investire sulla capacità di interconnessione. Non solo. La raccomandazione numero tre recitava: “L’accumulo di energia associato alla produzione centralizzata di energia rinnovabile potrebbe contribuire efficacemente all’adeguatezza del sistema”. Un chiaro invito a insistere sulle fonti alternative a quelle tradizionali, prima ancora del Green Deal e degli obiettivi di transizione sostenibile.
Lo studio del 2015 diceva anche un’altra cosa: “Lo stoccaggio da solo non può garantire la sicurezza dell’approvvigionamento“. Serve altro per rispondere alle crisi. Qualcosa a cui l’UE dovrà lavorare per risolvere in modo strutturale i suoi problemi di dipendenza energetica. Era già tutto scritto, ma l’Ue ha esitato.