Bruxelles – Lavorare per restare comunque in condizioni di povertà, o quasi. E’ ciò che si chiama ‘povertà lavorativa’. Un paradosso che colpisce circa 2,5 milioni di italiani tra i 18 e i 64 anni, una fetta di popolazione sempre più numerosa. In un anno, tra il 2020 e il 2021, si sono aggiunte altri 200mila persone con l’assillo della quarta settimana a quelle già alle prese con l’analogo problema. Salari bassi, i tanti liberi professionisti a partita Iva che hanno visto la propria attività ridursi a causa della crisi sanitaria, contratti atipici: il fenomeno del rischio povertà nel lavoro si spiega così, e i numeri raccolti fin qui da Eurostat sulle persone comunque con un impiego ed entrate economiche mostra che la situazione si sta aggravando, per quanto è possibile vedere.
Numeri completi ancora non ve ne sono. La figura complessiva è aggiornata al 2020, e l’istituto di statistica europeo dispone solo delle informazioni di alcuni dei ventisette Stati membri dell’Ue. L’Italia è uno di questi, e qui si registra un deterioramento della situazione. In termini assoluti il sistema Paese appare messo peggio della Spagna, altro Paese che rende possibili raffronti 2020-2021. Anche nella monarchia iberica il numero di quanti in situazione di rischio povertà nonostante un lavoro registra un incremento di circa 200mila unità nello stesso periodo dell’anno, per un totale di circa 2,4 milioni di persone. Un centinaio di migliaia tra uomini e donne in meno rispetto all’Italia, ma con una differenza di base. La popolazione attiva tricolore è di 21,7 milioni, quella spagnola di 19,3 milioni. Il tasso è dunque più elevato in Spagna che in Italia (12,7 per cento e 11,6 per cento rispettivamente). Magra consolazione. per cento
La Germania è riuscita a contenere il fenomeno. Anche il dato tedesco è disponibile anche per il 2021, e il confronto con l’anno precedente mostra una situazione stabile, con i lavoratori a rischio povertà fermi a circa 3,3 milioni, con un tasso dell’8,5 per cento per via di una popolazione attiva tra i 18 e 64 anni di circa 39,1 milioni di tedeschi. Manca la possibilità di un raffronto per la realtà francese, ma fin qui le principali economie dell’eurozona mostrano tutte le loro difficoltà e la fatica che incontrano a far fronte al problema.
Una popolazione attiva che non ce la fa ad arrivare a fine mese, o che non può affrontare spese impreviste, è la stessa popolazione che smette di sostenere i consumi e quindi la domanda interna. Aumenta dunque il rischio di un’economia stagnante. Un qualcosa che l’Europa di questi giorni non può permettersi. La Commissione europea, in questi mesi, ha posto l’accento sull’andamento positivo del mercato del lavoro, con il livello di disoccupazione che sta seguendo traiettorie di riduzione. Ma i dati Eurostat mostrano che il problema non è tanto il lavoro, quanto le sue condizioni e le sue buste paga correlate. La povertà lavorativa deriva da questo.