Bruxelles – Un altro passo contro l’Unione Europea, l’ennesimo. Con il voto favorevole di 130 deputati, il Parlamento unicamerale dell’Ungheria (l’Országgyűlés) ha approvato la proposta del partito al governo Fidesz, del premier Viktor Orbán, che prevede l’abolizione del Parlamento Ue come istituzione comunitaria democraticamente eletta e la sua sostituzione con una Camera di rappresentanti dei 27 Paesi membri nominati dai rispettivi capi di Stato e di governo.
Il voto di ieri pomeriggio (martedì 19 luglio) di Budapest ha creato un nuovo solco con Bruxelles, anche considerato il fatto che la proposta arriva direttamente dal partito nazionalista al governo – e recentemente rieletto per la quarta volta consecutiva – e per tutta una serie di punti che mettono il Paese ancora più in rotta di collisione con l’Unione. Oltre all’abolizione del Parlamento Ue per come lo conosciamo, la risoluzione in arrivo dall’Ungheria si oppone alla visione di un “processo di creazione di un’Unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”, come sancito nel Trattato sull’Unione Europea (Tue). A livello pratico questo si concretizza con la richiesta di introduzione del diritto di veto per tutti i Parlamenti degli Stati membri su qualsiasi legislazione comunitaria, oltre al diritto di iniziativa legislativa e alla limitazione dei poteri delle istituzioni dell’Unione. “La democrazia europea deve essere condotta fuori dal vicolo cieco in cui il Parlamento Europeo l’ha condotta“, è l’attacco della risoluzione ungherese, che continua esortando l’Ue a “cambiare, perché è impreparata alle sfide del nostro tempo”.
La risoluzione dovrebbe arrivare ora sul tavolo del Consiglio Ue dopo l’estate, con l’invito da parte del Parlamento ungherese a trasmetterla a tutte le istituzioni dell’Unione. Il momento è particolarmente delicato per i rapporti tra Budapest e Bruxelles, considerata in particolare la situazione sul fronte del rispetto dello Stato di diritto nel Paese. Venerdì scorso (15 luglio) la Commissione Europea ha deferito l’Ungheria di fronte alla Corte di Giustizia dell’Ue per la violazione dei diritti LGBT+, mentre lo scorso 27 aprile è stato attivato per la prima volta sempre dall’esecutivo comunitario il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto, a causa delle “serie preoccupazioni” sulle violazioni della salvaguardia e del rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini e sul potenziale uso del budget destinato a Budapest attraverso il quadro finanziario pluriennale 2021-2027.