Roma – “È un atto di civiltà circoscrivere le denominazioni della carne ai soli prodotti di origine animale, come ci insegna la tradizione romana secondo cui nomina sunt consequentia rerum (i nomi sono conseguenza delle cose)”. Così il professore Giuseppe Pulina, presidente di Carni sostenibili, organizzazione no profit per il consumo consapevole e la produzione sostenibile di carne e salumi, commenta la decisione del governo francese di vietare l’utilizzo dei nomi di prodotti di origine animale per i succedanei a base di proteine vegetali.
“Produrre carne e salumi in Italia è prima di tutto un atto culturale – prosegue il professore – chiamare salsiccia o bistecca un preparato iper-processato a base vegetale non significa solo usurpare un grande patrimonio di tradizione e conoscenza, ma anche indirizzare una informazione ingannevole verso il consumatore che potrebbe essere convinto di trovarsi davanti a prodotti equivalenti sotto l’aspetto nutrizionale, il che è totalmente falso”.
L’auspicio è che anche l’Italia possa uscire quanto prima dall’incertezza. “Il nostro Paese – ricorda Pulina – vanta una varietà unica di eccellenze nel campo dei salumi e di tradizioni culinarie legate al taglio e alla preparazione delle carni”. “Nessuno vuole imporre veti su scelte personali quali quella del cibo e dello stile alimentare – precisa Pulina – ma serve maggiore trasparenza a favore di tutti, soprattutto di chi sceglie un’alimentazione completa. Potremmo mai sopportare che si chiamasse vino o birra un intruglio di aromi vegetali e alcol?”. E in questo senso gli ultimi dati Eurispes, che prendono in considerazione le scelte alimentari degli italiani dal 2013 ad oggi, fotografano un paese saldamente onnivoro, con oltre il 93 per cento della popolazione che inserisce nella propria dieta prodotti di origine animali.
All’appello di Carni sostenibili si aggiungono le associazioni di categoria – Assica, Assocarni e UnaItalia – che aderiscono all’organizzazione. “Difendere le denominazioni dei nostri prodotti è tutelare la nostra tradizione” dichiara Ruggero Lenti presidente di Assica. “I salumi sono un fiore all’occhiello del made in Italy, apprezzati e invidiati in tutto il mondo. La nostra associazione da sempre si batte perché ai “nomi” corrispondano produzioni ben precise e viceversa” L’emanazione nel 2015 del c.d. Decreto salumi (che stabilisce cosa possa chiamarsi prosciutto crudo, prosciutto cotto, salame e culatello) è stato un atto fortemente voluto da Assica proprio in questo senso. “Non è solo la tutela di una denominazione di vendita – prosegue Lenti – è prima di tutto il riconoscimento che dietro quel nome c’è un processo frutto dell’esperienza e della capacità di imprenditori e lavoratori con competenze preziose e non comuni. Consentire a ricostituiti vegetali di usare le stesse denominazioni tradizionali di prodotti carnei vorrebbe dire permettere una forma di dumping non solo di reputazione e di mercato, ma anche culturale, proponendo ai consumatori come apparentemente equivalente un prodotto che non è paragonabile nemmeno per metodo di produzione e know how produttivo”.
“La priorità deve essere quella di garantire informazioni trasparenti al consumatore – precisa Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni – impedendo informazioni ingannevoli che lo inducano in errore. Più che legittimo, quindi, rispettare la scelta di chi preferisce prodotti vegetali che per simulare aspetto o sapore dei prodotti carnei naturali siano pieni di ingredienti chimici ed artificiali, così come chi in futuro dovesse scegliere un prodotto fatto in un bioreattore con cellule indifferenziate stimolate da fattori di crescita. È importante, però, che attraverso informazioni chiare in etichetta ogni consumatore sia reso consapevole di quello che acquista”