Bruxelles – Mario Draghi, l’uomo che dà garanzie, che gode della stima dei leader degli Stati membri dell’UE e della Commissione europea. Che però si vede costretta a bacchettarlo per gli interventi in tema di magistrati onorari e mercato del lavoro e tenere aperta la procedura d’infrazione avviata l’anno scorso, pur senza portarla avanti. A distanza di sei mesi si richiama l’Italia a mettersi in linea con le disposizioni comunitarie, ma con una lettera di messa in mora complementare anziché con il parere motivato, passo successivo nel percorso previsto per gli Stati in continua situazione di mancato recepimento e rispetto di direttive e regolamenti. Perché alla fine Draghi è pur sempre Draghi.
La situazione è particolare. Nel Paese i giudici di pace, i vice procuratori onorari e giudici onorari di tribunale non godono dello status di “lavoratore” in base al diritto nazionale italiano, e sono considerati volontari che prestano servizio a titolo “onorario”. Di conseguenza non godono della protezione offerta ai lavoratori dal diritto del lavoro dell’Ue, il che comporta ad esempio l’assenza di indennità per malattia, infortunio e gravidanza, differenze retributive e discriminazione fiscale. Una situazione che va contro la direttiva sul miglioramento della sicurezza sul lavoro, contro la direttiva sugli orari di lavoro, contro l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, e pure contro l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Draghi e la sua maggioranza, almeno quella esistente fino a poche ora fa, prima della crisi aperta dal Movimento 5 Stelle, non sono rimasti indifferenti ai solleciti di Bruxelles. Hanno apportato modifiche al quadro normativo nazionale lo scorso dicembre. Ma il risultato finale è un pasticcio. La Commissione ritiene le modifiche introdotte dall’Italia “non pongano pienamente rimedio alle violazioni del diritto dell’Unione individuate inizialmente e determinino anzi nuove criticità”.
L’esecutivo comunitario bacchetta dunque Draghi e la sua squadra, ma sembra comunque apprezzare gli sforzi. Per questo decide di non procedere oltre, e di mandare un nuovo avviso. Niente parere motivato, ma nuova lettere di messa in mora. Perché Draghi è sempre Draghi.