Roma – Mala tempora currunt. Nessuno sfracello dei conti, ma il ‘binomio-zavorra’ guerra e rincari è mortifero per la crescita. Lo certifica Banca d’Italia, che rivede le proprie stime “al ribasso di 2 punti percentuali nel complesso del biennio 2022-2023, su valori prossimi a quelli dell’area dell’euro”, dice il governatore, Ignazio Visco, nell’ipotesi che la Russia non interrompa le forniture di gas dall’oggi al domani. Perché in quel caso il quadro sarebbe nettamente peggiore, provocando “una contrazione nella media del biennio 2022-23, per tornare a crescere nel 2024”, frutto di un “rialzo ulteriore dei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un peggioramento della fiducia e un aumento dell’incertezza”.
L’istantanea del governo è molto simile a quella di via Nazionale. Dal palco dell’assemblea annuale dell’Abi, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, avvisa che nei prossimi mesi, ad una situazione già complicata, “potrebbero aggiungersi nuove turbolenze sui mercati del gas naturale e del petrolio dovute all’evoluzione del conflitto in Ucraina e possibili razionamenti delle forniture di gas russo”. Ragion per cui la linea tracciata a Palazzo Chigi è di “proseguire nell’azione di contenimento dell’impatto dell’aumento dei prezzi sui bilanci delle famiglie e delle imprese” ma “gli interventi verranno resi più selettivi, in modo da calibrare i sostegni sulla base delle condizioni economiche familiari”. Inutile nasconderlo, “il quadro macroeconomico si è deteriorato bruscamente con l’aggressione della Russia all’Ucraina”, spiega il responsabile del Mef.
Gli effetti del conflitto mettono il carico da novanta “su una situazione economica già molto complessa che risente della pandemia, dell’andamento dei prezzi dei combustibili fossili e di fenomeni climatici estremi quali la siccità che attualmente affligge il nostro Paese”, dice ancora Franco. Prendendo il plauso della platea e di Visco, che infatti chiede di “affrontare con determinazione le sfide del cambiamento climatico”, assicurando che Bankitalia “continuerà a guidare le banche in questo percorso, fornendo loro chiare indicazioni e verificando che vengano puntualmente seguite”.
Gli istituti di credito lanciano un messaggio tramite il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli: “L’esplosione dei prezzi dell’energia e dell’inflazione, mitigata dall’euro più forte della vecchia lira, e i rischi di rallentamento economico impongono prolungate misure europee e nazionali e di resilienza per la ripresa dello sviluppo sostenibile e dell’occupazione”. Ma l’Europa deve proseguire gli sforzi, unita, per “differenziare le fonti di approvvigionamento energetico e favorire quelle più sostenibili”. Perché “con i prezzi del gas saliti di dieci volte in due anni c’è un grande stress su consumatori e imprese che non possono sopravvivere con questi prezzi”.
Sulla strategia energetica, ad ogni modo, il governo si è mosso per tempo. E forse meglio di molti partner Ue. A ricordarlo è il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Abbiamo sostituito 25 miliardi dei 30 che prendiamo dalla Russia in 8 settimane”, con accordi “da 6 fornitori diversi, più piccoli”. Peraltro “permettendoci il lusso” di rinunciare scientemente a 5 miliardi di metri cubi perché “li sostituiamo con le rinnovabili che, grazie al Pnrr, abbiamo accelerato”. Per inciso “ad oggi, primi sei mesi di quest’anno, le richieste di nuovi allacciamenti sono oltre miliardi di watt, 9 gigawatt”.
Questo non cancella quelli che, nella visione di Cingolani, gli errori del passato: “La guerra in Ucraina ci ha sbattuto in faccia vent’anni di errori nella gestione energetica in questo Paese”, tuona. Pur ammettendo che sul punto ha toni molto duri, ma ne ha viste tante, troppe: “Ideologismi di tutti i tipi”. Non gli va giù che “abbiamo smesso di produrre il nostro gas dicendo che era ecologicamente più sostenibile, per poi comprarlo dai russi. Ci siamo bastonati da soli”. Non solo, per il responsabile del Mite “è un po’ un suicidio” la scelta di importare ogni anno 30 miliardi di gas da un solo fornitore, la Russia per l’appunto, quando ne consumiamo 76 miliardi ogni anno. Ora si cambia registro, ma la strada da fare è ancora lunga.