Bruxelles – Ora è ufficiale. Ucraina e Repubblica di Moldova sono i due nuovi Paesi candidati all’adesione all’UE. A quattro mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e con un processo decisionale mai così veloce da parte della Commissione nella storia dell’allargamento dell’Unione, si apre la porta europea per Kiev e Chișinău, che da oggi (giovedì 23 giugno) dovranno iniziare a implementare le riforme necessarie per arrivare prima all’apertura dei negoziati di adesione e, solo dopo il completamento di tutti i requisiti, all’agognato traguardo di unirsi ai Ventisette.
In quella che tutti i leader delle istituzioni comunitarie hanno definito “una giornata storica” per l’Unione Europea – dalla presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, a quello del Consiglio, Charles Michel, fino alla numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen, e al presidente francese e di turno del Consiglio dell’UE, Emmanuel Macron – il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione ha riconosciuto la “prospettiva europea” per Ucraina, Repubblica di Moldova e Georgia, dopo il parere favorevole dell’esecutivo comunitario. Come da previsioni, non c’è stato nessun ribaltamento e il Consiglio si è detto “pronto” a concedere a Tbilisi lo status di Paese candidato “una volta affrontate le priorità” messe in luce dal gabinetto von der Leyen nel suo parere di venerdì scorso (17 giugno). “Siamo pronti a lavorare con determinazione nei prossimi mesi per raggiungere lo status di candidato”, ha tweetato la presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, dando un messaggio chiaro alle migliaia di cittadini scesi in strada nei giorni scorsi.
Per quanto riguarda Ucraina e Moldova, invece, le domande di adesione dovranno essere valutate dalla Commissione nell’ambito dell’annuale valutazione nel pacchetto di allargamento: “Il Consiglio deciderà in merito a ulteriori iniziative una volta che tutte queste condizioni saranno pienamente soddisfatte“, a partire dal rispetto dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). “È un messaggio di unità, ci siamo confrontati in videoconferenza anche con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky“, ha commento in conferenza stampa il numero uno del Consiglio, a cui ha risposto lo stesso leader ucraino: “È un momento unico e storico nelle relazioni tra Ucraina e Unione Europea“. Per il presidente francese Macron, “abbiamo mandato un messaggio forte e unito alla Russia”, mentre von der Leyen ha sottolineato che “in un momento di così grande sofferenza per i cittadini ucraini, non poteva esserci segnale migliore”. Anche per la presidente della Moldova, Maia Sandu, intervenuta con l’omologa georgiana al vertice dopo l’annuncio, si tratta di “un segnale forte e inequivocabile di sostegno ai nostri cittadini e al futuro europeo” del Paese, su cui la leader moldava si è spesa con forza a Bruxelles negli ultimi mesi.
Le tappe del processo di adesione UE
Le tre richieste per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE erano arrivate tutte nel corso della prima settimana di guerra della Russia in Ucraina, tra lunedì (28 febbraio) e giovedì (3 marzo): la prima era stata l’Ucraina, seguita a ruota da Georgia e Moldova. Gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato quattro giorni più tardi di invitare la Commissione Europea a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione, da inviare poi ai leader UE. L’8 aprile a Kiev von der Leyen aveva consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il questionario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario sulla richiesta di adesione, così come aveva fatto tre giorni più tardi il commissario Várhelyi per Georgia e Moldova. Meno di cento giorni dopo l’esecutivo comunitario ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, con la precisazione sul rispetto delle priorità per la Georgia.
Ricevuta la proposta formale di candidatura all’adesione, per diventare un Paese membro dell’UE (Ucraina, Georgia e Moldova, in questo caso), è necessario superare l’esame dei criteri di Copenaghen. Ottenuto il parere positivo della Commissione, si può arrivare o alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione – un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, utilizzato in particolare per i Balcani Occidentali, a cui viene offerta la prospettiva di adesione – o direttamente il conferimento dello status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.
L’adesione della Bosnia ed Erzegovina
Oltre alle candidature di Moldova, Georgia e Ucraina, il processo di allargamento UE coinvolge già i sei Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – e la Turchia, i cui negoziati sono però cristallizzati dalla politica del presidente Erdoğan. Serbia e Montenegro stanno portando avanti i negoziati di adesione rispettivamente dal 2014 e dal 2012, mentre il pacchetto Albania-Macedonia del Nord è bloccato dal 2018 prima per il veto di Francia-Paesi Bassi-Danimarca ai danni di Tirana e poi per quello attuale della Bulgaria contro Skopje (dalla fine del 2020). La Bosnia ed Erzegovina ha fatto domanda di adesione nel 2016, mentre il Kosovo ha solo firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione.
La situazione della Georgia ora è paragonabile a quella della Bosnia ed Erzegovina, con la richiesta di adesione arrivata a Bruxelles e la risposta positiva, ma sub conditione. Dopo il fallimentare vertice UE-Balcani Occidentali di questa mattina, che ha registrato i malumori dei Paesi della regione e di un gruppo di membri UE – Slovenia, Croazia e Austria in testa – per lo stallo della situazione di Sarajevo e il contemporaneo sorpasso di Ucraina e Moldova, i Ventisette hanno dovuto fare delle concessioni nelle conclusioni del vertice. “Il Consiglio Europeo è pronto a concedere lo status di Paese candidato alla Bosnia ed Erzegovina“, si legge nel documento, che invita la Commissione a “riferire senza indugio in merito all’attuazione delle 14 priorità-chiave indicate nel suo parere“, con “particolare attenzione a quelle che costituiscono un insieme sostanziale di riforme”. L’obiettivo è quello di permettere ai leader UE di “tornare a decidere in merito”.
Il richiamo però è anche alle istituzioni bosniache, invitate ad “attuare rapidamente gli impegni stabiliti” nell’accordo di Bruxelles e a “portare urgentemente a termine la riforma costituzionale ed elettorale, che consentirà al Paese di avanzare con decisione nel suo percorso europeo, in linea con il parere della Commissione”. L’accordo dello scorso 12 giugno tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina è visto con “favore” dal Consiglio, in quanto “necessario per la stabilità e il pieno funzionamento del Paese e per rispondere alle aspirazioni della popolazione”. Quanto è derivato dal blocco delle discussioni su Ucraina e Moldova da parte del trio Slovenia-Croazia-Austria – almeno fino a quando non si fosse trovata almeno una parziale risposta alla crisi bosniaca – ha rappresentato l’unica nota positiva in una giornata deludente per i Balcani. Nel festeggiare per la “decisione storica” dell’UE, Kiev, Chișinău e Tbilisi si staranno probabilmente augurando di non aver intrapreso la stessa strada piena di insidie per l’adesione all’Unione.