Bruxelles – Nonostante le difficoltà, i ritardi e gli stalli, il Parlamento Europeo non si stanca di ribadire la necessità per tutta l’UE di accelerare il processo di adesione dei Balcani Occidentali. Lo confermano tutte le relazioni sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea nei sei Paesi della regione ancora esclusi dall’Unione, comprese le ultime tre votate oggi (martedì 14 giugno) in commissione Affari esteri (AFET). Relazioni che partono dal Pacchetto Allargamento 2021 presentato dalla Commissione Europea nell’ottobre dello scorso anno, analizzando la situazione specifica sia sul piano della tendenza generale sia delle ultime novità politiche e sociali.
In attesa del voto in sessione plenaria previsto per l’inizio di luglio, la commissione AFET ha completato il suo lavoro, dando il via libera alle relazioni su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Serbia. Per quanto riguarda la situazione in Bosnia ed Erzegovina, è stata sottolineata la necessità di mettere fine allo stallo politico fatto di retorica d’odio e di ritiro dalle istituzioni statali da parte delle autorità della Republika Srpska. Così come è emerso domenica (12 giugno) dall’accordo di Bruxelles, è necessaria una svolta rispetto alla “mancanza di volontà politica nei negoziati sulle riforme costituzionali ed elettorali” prima delle elezioni generali del prossimo autunno, ha sottolineato il relatore Paulo Rangel (PPE). Ma per la tenuta democratica del Paese e per il percorso sulla strada dell’Unione è cruciale anche che Sarajevo “attui le sanzioni dell’UE contro la Russia a cui si è allineato”, considerato soprattutto il “continuo interesse” di Mosca nella destabilizzazione del più fragile tra tutti i Paesi dei Balcani Occidentali.
E a proposito di sanzioni contro la Russia, è la Serbia a essere richiamata all’impegno di sposare la politica estera dell’Unione. Gli eurodeputati si sono detti “rammaricati” della resistenza di Belgrado ad allinearsi alle misure contro il Cremlino, in particolare il relatore Vladimír Bilčík (PPE): “Dopo le elezioni dell’aprile 2022 e la guerra di aggressione della Russia, è mio sincero desiderio che i nostri partner comprendano il senso di urgenza nell’andare avanti nel loro percorso europeo”. La relazione riconosce che per la Serbia l’adesione all’UE continua a essere l’obiettivo strategico, tuttavia non può essere nascosto il fatto che sia l’unico dei sei Paesi dei Balcani Occidentali ad aver fatto “passi indietro” sulle tappe fondamentali di avvicinamento all’Unione. Serve un cambio di passo nella lotta contro la disinformazione e la propaganda russa – agevolata da un rapporto particolarmente stretto tra Mosca e Belgrado – ma anche progressi in materia di Stato di diritto, diritti fondamentali, libertà di espressione, rafforzamento del pluralismo dei media e normalizzazione delle relazioni con il Kosovo.
È quest’ultimo, da più di dieci anni, uno dei temi più urgenti di tutta la regione. La relazione a firma Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) riconferma il sostegno “inequivocabile” al dialogo Belgrado-Pristina facilitato dall’UE, ribadendo l’importanza di raggiungere un accordo di normalizzazione “completo e giuridicamente vincolante”, in cui comunque l’indipendenza di Pristina è considerata “irreversibile”. Gli eurodeputati mostrano particolare apprezzamento per la “maggiore stabilità politica” e il forte impegno del Kosovo per diventare “un partner molto affidabile, profondamente ancorato all’alleanza europea e transatlantica“, anche per l’allineamento sulle sanzioni contro la Russia e la solidarietà espressa nei confronti dell’Ucraina. Le critiche sono invece tutte per il Consiglio e per sette Paesi membri. Non solo i cinque che non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) – che sono stati invitati a farlo “immediatamente” – ma anche Francia e Paesi Bassi, a cui la relatrice si è rivolta direttamente: “Spero davvero che questo sia l’ultimo rapporto che menziona il fallimento di non aver mantenuto la promessa di fornire ai cittadini del Kosovo l’esenzione dal visto, attesa da tempo”.
Montenegro, Albania e Macedonia del Nord
Oltre alle tre relazioni approvate oggi, la commissione AFET si è già espressa il mese scorso sullo stato di avanzamento del percorso verso l’UE degli altri tre Paesi dei Balcani Occidentali. La relazione sul Montenegro sarà votata alla mini-sessione plenaria del Parlamento Europeo della settimana prossima (22-23 giugno) e metterà l’accento sulla priorità per Podgorica di portare avanti le riforme elettorali e giudiziarie e la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Se è vero che il Montenegro rimane impegnato verso l’integrazione europea, nessuno dei 33 capitoli negoziali è stato chiuso e questo rallenta il bilancio positivo del Paese balcanico allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE. “Ci auguriamo che il nuovo governo non si trovi ad affrontare i problemi del precedente”, ha sottolineato il relatore Tonino Picula (S&D), facendo riferimento al “clima polarizzato” nella politica nazionale, che potrà essere affrontato dai partiti pro-europei che formano l’esecutivo di minoranza guidato da Dritan Abazović. Alla luce della “continua influenza dei partiti e delle narrative politiche filo-russe” e del crescente volume di campagne di disinformazione di Russia e Cina – “anche attraverso la strumentalizzazione degli istituti religiosi” – la relazione incoraggia la Commissione UE a valutare un’assistenza economica e finanziaria per i Paesi dei Balcani Occidentali che hanno aderito alle sanzioni dell’Unione, come ha fatto il Montenegro.
Per quanto riguarda Albania e Macedonia del Nord, le relazioni del Parlamento UE sono già state votate alla mini-sessione plenaria del 18-19 maggio ed entrambe hanno posto l’accento sull’urgenza di avviare i negoziati di adesione all’UE in seno al Consiglio UE, sbloccando lo stallo del veto bulgaro. “Il mancato intervento potrebbe avere implicazioni di sicurezza storicamente importanti per la stabilità dell’Europa“, è l’allarme lanciato dagli eurodeputati. Entrambi i Paesi hanno soddisfatto tutte le condizioni richieste da Bruxelles, ma il temporeggiare dei Ventisette “ha minato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione”. È per questo che Bulgaria e Macedonia del Nord devono risolvere “rapidamente” le questioni bilaterali in sospeso – o quantomeno affrontare la disputa storico-culturale “separatamente dal processo di adesione” – sfruttando il rinnovato impegno della Francia di Emmanuel Macron. Sbloccare i negoziati è un dovere dell’UE nei confronti della Macedonia del Nord, considerato il fatto che Skopje “detiene il miglior record di transizione democratica nella regione dei Balcani Occidentali”, sottolinea la relazione a firma del deputato bulgaro Ilhan Kyuchyuk (Renew Europe). Questo risultato è il frutto del lavoro sullo Stato di diritto, ma anche dell’allineamento alla politica estera di Bruxelles, come ha dimostrato la chiusura dello spazio aereo (con Montenegro e Bulgaria) al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, una settimana fa. Tuttavia, esistono rischi di una “crescente dipendenza economica ed energetica dalla Russia e dalla Cina”, a partire dalla dipendenza dai prestiti di Pechino.
Lo stallo sui negoziati di adesione sembra ancora più paradossale se si considera la situazione dell’Albania, vincolata dallo stesso pacchetto della Macedonia del Nord. Già tra il 2018 e il 2019 il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi – con la richiesta di implementare le riforme strutturali dei due Paesi – ma dopo il via libera della primavera del 2020 sembrava che tutto fosse pronto per il cammino di adesione di Tirana (e di Skopje) nell’Unione. Come sottolineato dalla relazione del Parlamento Europeo, l’Albania ha continuato a mostrare un “impegno incrollabile verso l’integrazione europea” e a intensificare gli sforzi su Stato di diritto, economia e democrazia, nonostante il veto del Consiglio non la riguardi direttamente. Il Paese “rimane un partner strategico pienamente affidabile e impegnato”, ha ribadito con forza la relatrice Isabel Santos (S&D), che ha esortato i Ventisette a compiere un passo che non hanno avuto il coraggio di fare per quattro anni. Nel frattempo il governo guidato da Edi Rama dovrà impegnarsi per “rafforzare la società civile, contrastare la corruzione e la criminalità organizzata”, ma anche “assicurare la libertà dei media e garantire la tutela dei diritti delle minoranze, compresa la comunità LGBTQ+”, è l’ultimo richiamo della relazione votata dagli eurodeputati.