Bruxelles – Germania, Francia, Austria, Svezia e Danimarca. Sono cinque gli Stati membri dell’UE che secondo la Corte dei Conti europea hanno violato il tempo limite massimo di ripristino dei controlli delle frontiere interne, senza subire alcuna procedura di infrazione. Lo rivela la nuova relazione speciale pubblicata oggi (13 giugno) sulla libera circolazione all’interno dell’area Schengen durante la pandemia di COVID, e contenente però anche una valutazione del comportamento delle autorità nazionali prima dello scoppio della crisi sanitaria.
Secondo la normativa dell’UE, la gestione delle frontiere, interne ed esterne, è competenza esclusiva degli Stati. I Paesi hanno l’unico obbligo di notificare alla Commissione europea i provvedimenti sui confini che vogliono adottare, con un tempo massimo di sei mesi e la possibilità di proroga, di semestre in semestre, fino a massimo due anni. Nella pratica però, il fatto di limitare la libera circolazione delle persone nell’area Schengen deve essere una misura temporanea e di ultima istanza.
Secondo il codice frontiere Schengen, i 26 Paesi aderenti possono reintrodurre i controlli al confine con altri Stati membri per minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, soprattutto se questa richiede un’azione immediata. Oppure per circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dell’area “a seguito di carenze gravi e persistenti nel controllo delle frontiere esterne”.
In questi casi, la Commissione può sottoporre al Consiglio dell’Unione Europea una raccomandazione da approvare, come extrema ratio, proprio per ripristinare tali controlli delle frontiere interne. Questo meccanismo è stato applicato nel maggio 2016, quando il Consiglio ha raccomandato il ripristino a Germania, Austria, Svezia e Danimarca a causa della crisi migratoria, ribadendo la raccomandazione nel novembre 2016, nel febbraio e maggio 2017, fino al novembre 2017.
Se si esamina il caso tedesco però, la proroga ai controlli si estende oltre. Prima da novembre 2017 a maggio 2018 “per la situazione in materia di sicurezza in Europa e minacce derivanti da continui e significativi movimenti secondari” di persone migranti sul confine terrestre con l’Austria. Fino a quest’anno, all’11 novembre 2022, con la motivazione: “Movimenti secondari, situazione ai confini esterni; frontiera via terra con l’Austria”. Mentre per la Francia, a partire dal 2015, soprattutto dopo gli attentati di Parigi, “una minaccia terroristica persistente” ha portato al controllo continuativo di tutte le frontiere interne con, come prossima scadenza, il 31 ottobre 2022.
“Cinque Stati membri hanno superato tale durata modificando le basi giuridiche ogni due anni, o sostenendo che una nuova notifica si riferisse a un nuovo controllo di frontiera (invece che alla proroga di controlli già esistenti)”, denuncia la relazione della Corte dei Conti, che esamina un campione di notifiche alla Commissione, che va dal 2015 al 2019.
“Tutti gli Stati membri sono tenuti a presentare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione una relazione sull’attuazione dei controlli alle frontiere interne entro quattro settimane dalla loro soppressione”, prosegue la Corte: “I cinque Stati che hanno ripristinato controlli alle frontiere a lungo termine, non hanno ancora presentato alcuna relazione ex post, a sei anni dalla reintroduzione di tali controlli”.