dall’inviato a Strasburgo – Non è vero che non cambierà nulla. L’accordo sul salario minimo europeo “è uno spartiacque” anche per l’Italia, perché apre un percorso di riflessione per troppo tempo rinviato. Ne è convinta Daniela Rondinelli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle membro della commissione Lavoro, che nell’intervista concessa a Eunews mette ordine e fa chiarezza su un tema molto dibattito, e non solo in Europa.
Eunews: Onorevole Rondinelli, innanzitutto come accoglie l’accordo inter-istituzionale? E poi, davvero non cambia niente per l’Italia? Il commissario Schmit dice così…
Daniela Rondinelli: “Veramente Schmit ha detto che nel nostro Paese c’è un dibattito in corso e che si attende una soluzione. Ad ogni modo in Italia ho sentito un dibattito in cui si sostiene che non cambierà nulla, ma questo accordo un’apripista per un ragione che serve e che va fatto, perché in Europa ci sono 24 milioni di persone in condizione di povertà lavorativa, che non arrivano alla fine del mese. In Italia sono circa 3 milioni. Una situazione aggravata da un generale aumento dei prezzi. Gli ultimi dati OCSE mostrano che l’Italia è l’unico Paese nell’UE dove i salari sono diminuiti negli ultimi dieci anni. C’è un problema”.
E: Quindi che ragionamento può nascere da questo accordo?
D.R: “Un tema può essere certamente quello di una riforma del sistema di contrattazione collettiva, che viene incentivato da questa direttiva. Ma non aspettiamo due anni (il tempo che servirà per recepire la direttiva, una volta pubblicata su gazzetta ufficiale, ndr). Il problema c’è, ed è sentito tra i lavoratori. Negli ultimi 10 anni i contratti collettivi sono aumentati dell’85%, ma a oggi il 68% di questi contratti è scaduto, non è stato rinnovato”.
E: Per l’Italia vuol dire più potere ai sindacati? La direttiva insiste su queste organizzazioni, mi pare…
D.R. “Non solo sindacati. Parti sociali. Questa è una partita che si vince insieme. Noi come Movimento 5 Stelle vorremmo in Italia, una legge per un salario minimo, e questo è un tema. Ma i contratti collettivi li fanno sindacati, imprese, rappresentanti di categoria. Se poi le parti sociali vogliono andare oltre e riformare i contratti collettivi, allora il governo le deve convocare. Ma spetta alle parti sociali questo passo.
E: Lei crede che il dibattito in Italia si sia polarizzato su un’imposizione europea di un salario minimo, che oltretutto non poteva accadere, vista la ripartizione di competenze tra Bruxelles e le altre capitali?
D.R: “No, non direi. E’ evidente che la direttiva non può imporre una soglia prestabilita, perché i Trattati non lo permettono. In Italia non c’è un tema di imposizione dall’alto, ma la direttiva ha incrociato un dibattito molto vivo, sollevando il tema della povertà salariale. Noi del Movimento 5 Stelle volevamo anche questo reddito europeo, e siamo molto contenti per il risultato raggiunto”.
E: A livello europeo, invece, che cambiamento si profila?
D.R: “Un cambiamento importante. Perché noi abbiamo un problema a livello UE, che è quello della concorrenza interna attraverso i salari. Fissando criteri uguali per tutti per la retribuzione minima si affronta anche questo problema”.