Bruxelles – Sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea Italia, Francia e Germania hanno idee diverse, molto diverse. Probabilmente anche troppo, se Mario Draghi arriva a rimproverare pubblicamente i partner su un tema certamente spinoso, ma che a detta del presidente del Consiglio al netto della delicatezza non dovrebbe lasciare spazi ad ambiguità né dubbi. Che all’interno della grande famiglia a dodici stelle ci siano orientamenti diversi non è un mistero, ma quello che non va giù all’Italia è che sia isolata tra chi ha un peso politico in seno all’Ue. “Sostengo che l’Ucraina debba diventare un membro dell’Unione europea”, sfortunatamente “lo status di candidato trova l’obiezione di quasi tutti i grandi Stati dell’Unione europea, se non tutti, esclusa l’Italia“.
Il j’accuse di Draghi arriva dalla conferenza stampa di fine lavori del vertice del Consiglio europeo, dove l’Ucraina è stato tema centrale, in modo diretto (sostegno economico e militare) e indiretto (sanzioni). Il capo di governo non gradisce l’atteggiamento dei partner, che non menziona direttamente, ma chiamare in causa “i grandi Paesi” dell’UE implica critiche alla condotta di Francia e Germania su tutti. Da parte loro l’Italia vede una reticenza che non si aspettava, e le ragioni addotte sono anche meno comprensibili e per questo giustificabili.
“Le opzioni che si sono discusse in questi mesi per sostituire lo status di candidato e addolcire la pillola sono quelle di appartenenza alla comune famiglia europea, appartenenza alla comunità o un gruppo di Paesi che stanno aspettando”, lamenta ancora Draghi, convinto del fatto che “tutti questi concetti non siano accettabili dagli ucraini ma siano anche guardati in sospetto da altri Paesi che stanno in fila da molti anni per entrare nell’Unione europea”. Draghi tiene a precisare che non si parla di ingresso, quando di avvio del processo. “Chiedere lo status di candidato lo possiamo anche fare, ma al momento non è una cosa prevedibile per l’opposizione di questi Paesi”. Si tratta di “immaginare un percorso rapido, che a oggi non esiste, verso questo status”
Draghi vorrebbe che l’UE fosse capace di mandare un segnale politico, per un qualcosa che comunque non avverrà prima del 2030, a meno di sorprese che non appaiono all’orizzonte. L’ideale, alla luce della situazione, sarebbe di fare “quello che si può fare”. Ma l’Europa degli Stati membri non vuole. Esclusa l’Italia.