Già da tempo la Banca centrale europea (BCE) ha cominciato a ridurre il ritmo degli acquisti di titoli di Stato effettuati tramite il quantitative easing (QE), applicando il cosiddetto ‘tapering’, e ci si attende possa innalzare i tassi di interesse nominali già a luglio, sull’esempio della FED statunitense. Dunque, l’orientamento di politica monetaria nell’area euro sta subendo un progressivo inasprimento. Quando la banca centrale decide di condurre una politica monetaria restrittiva, essa riduce le iniezioni di base monetaria nel sistema finanziario, aggravando inevitabilmente il vincolo di bilancio per gli Stati con fondamentali economici deteriorati, come quelli della periferia dell’Eurozona, e, così facendo, cessa di alleviare l’onere del debito come quando assimila e detiene le obbligazioni governative nel proprio bilancio.
È quindi lecito domandarsi quanto concreto sia, nel prossimo futuro, il rischio di frammentazione sui mercati dei bond dell’Eurozona, con conseguente aumento degli spread, e quanto sia appropriata la decisione della Bce di rialzare i tassi, come già fece nel 2008 e nel 2011 con pessimi risultati, per far fronte all’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, che sono notoriamente la componente del paniere dei prezzi, insieme ai prodotti alimentari, più volatile e soggetta a fluttuazioni cicliche. D’altra parte, stando a dati Eurostat, non è affatto osservabile alcun parallelo incremento dei salari nominali nell’area euro che potrebbe far presagire, a differenza degli Usa, dove il rischio di una spirale salari-prezzi è molto più concreto, un aumento significativo dell’inflazione di fondo (core), mentre è certamente preventivabile, e già tristemente percepibile, una consistente erosione del potere d’acquisto di lavoratori e famiglie.
La scelta delle autorità monetarie di operare tale stretta monetaria si basa sulla teoria monetarista di Milton Friedman, ampiamente confutata da diversi studi, secondo cui “l’inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario”, ovvero l’aumento del tasso di inflazione avrebbe sempre origine dalla crescita eccessiva della moneta in circolazione e, pertanto, degli aggregati monetari. Per concludere, il restringimento quantitativo (quantitative tightening) e l’aumento del costo del denaro attualmente in atto, oltre a non risolvere il problema dell’aumento dell’inflazione complessiva (headline), trascinata al rialzo dall’aumento dei prezzi energetici e alimentari, la cui soluzione consiste nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento, nel maggiore impiego di fonti energetiche rinnovabili e nello sblocco delle strozzature logistiche acutizzate ulteriormente dal protrarsi del conflitto in Ucraina e dalle aggressive misure di contenimento Covid-zero in Cina, potrebbero determinare un notevole peggioramento delle condizioni di finanziamento del debito per gli Stati altamente indebitati, tra cui l’Italia, e una contrazione della domanda aggregata, con derivato calo dei consumi.