Bruxelles – Per il via libera dai governi UE all’embargo sul petrolio russo potrebbe volerci ancora del tempo. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán pensa che sarebbe “controproducente” discuterne al vertice dei leader in programma la prossima settimana a Bruxelles, il 30 e 31 maggio, e ha scritto oggi (24 maggio) una lettera al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per ribadire la posizione dell’Ungheria sulla proposta avanzata dalla Commissione Europea nel sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Il premier di Budapest frena sull’embargo graduale ma totale sul petrolio russo, in assenza di maggiori garanzie finanziarie dell’UE disponibili per aiutare Budapest a liberarsi del petrolio russo.
“Discutere il pacchetto di sanzioni a livello di leader in assenza di un consenso sarebbe controproducente”, ha scritto Orbán nella lettera, vista dal Financial Times. “Evidenzierebbe solo le nostre divisioni interne senza offrire una possibilità realistica di risolvere le differenze. Pertanto, propongo di non affrontare questo problema al prossimo Consiglio europeo”. Fonti dell’UE confermano che la lettera è stata ricevuta dal presidente Michel, che sta tenendo in queste ore le rituali consultazioni con tutti i capi di stato e governo in preparazione del Vertice di settimana prossima. Le sanzioni non sono ufficialmente all’ordine del giorno al Consiglio, ma lo saranno informalmente per provare a convincere i governi ancora contrari che bloccano il via libera al pacchetto che contiene l’embargo al petrolio. Anche perché finora non è stato possibile trovare un compromesso a livello di ambasciatori dei governi presso l’UE, a livello tecnico.
La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha proposto il sesto pacchetto di sanzioni lo scorso 4 maggio, venti giorni fa. Ha poi trascorso quasi l’intero mese di maggio a convincere anche gli Stati membri più reticenti a dare il via libera al pacchetto, ma senza successo. A guidare l’opposizione proprio l’Ungheria, insieme ad altri Paesi UE senza sbocco sul mare, che dipendono di più dal petrolio russo per ragioni di vicinanza e conformazione geografica, come la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Budapest e Bratislava hanno già ottenuto, rispetto a tutti gli altri Stati membri, un’esenzione per continuare a importare petrolio russo fino alla fine del 2024, mentre per Praga la deroga è prevista fino alla metà del 2024. Non è abbastanza.
Il governo ungherese continua a chiedere a Bruxelles garanzie finanziarie per andare a risolvere due tipologie di problemi che si troverebbe ad affrontare di fronte a uno stop alle forniture russe di petrolio: da una parte la questione di costruire nuovi oleodotti per diversificare i fornitori da cui far arrivare il petrolio; dall’altra, la riqualificazione delle raffinerie che in Ungheria – come anche in Slovacchia – sono “adattate” al petrolio russo. Bruxelles sperava di sbloccare l’impasse trainato da Budapest mettendo risorse “fresche” nel piano ‘REPowerEU’, presentato mercoledì della scorsa settimana con l’obiettivo di azzerare la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili importati da Mosca entro il 2027.
Bruxelles stima che saranno necessari 210 miliardi di euro di investimenti in più fino al 2027 e intende mobilitare circa 225 miliardi di euro di prestiti ancora non utilizzati dallo strumento di ripresa e resilienza (Recovery and resilience facility) varato per il COVID-19, incanalandoli nell’attuazione del piano. Secondo le stime UE sono circa 2 miliardi di euro le risorse che serviranno ai Paesi dell’Europa orientale per investire in nuove infrastrutture anche per il petrolio, ma il fatto che Bruxelles abbia deciso di incanalarli attraverso i PNRR per l’Ungheria è problematico dal momento che il suo piano nazionale (insieme a quello della Polonia) non ha ancora ricevuto il via libera da parte di Bruxelles, per le preoccupazioni della Commissione Europea sulle condizioni dello stato di diritto nei due Paesi.