Bruxelles – L’Italia è il Paese dei tanti avvocati e dei pochi giudici. Uno squilibrio che impedisce di avere sentenze, con il sistema di giustizia tricolore tra i più lenti dell’Unione europea. Quasi due anni per una sentenza di primo grado nella giustizia civile, più di quattro anni per una sentenza definitiva di terzo grado di giudizio. Il quadro di valutazione UE sulla giustizia conferma che in Italia non è cambiato niente. Anzi. Il COVID, con la sospensione di udienze e confinamenti, non ha fatto che aggravare la situazione mostrando la realtà di processi sempre più lumaca. Nel 2020 per avere una prima sentenza ci sono voluti quasi 700 giorni, rispetto ai 540 del 2018-2019 e dei quasi 600 del 2012. Peggio solo la Croazia. Mentre per chiudere un procedimento e giungere all’ultimo grado di giudizio ci sono voluti circa 1.500 giorni. La Spagna, Paese più lento per sentenza definitiva, ci ha messo ‘solo’ 850 giorni’.
I processi sempre più lumaca dunque continuano ad essere il principale biglietto da visita del Belpaese, da cui si attende ora il cambio di passo promesso da Mario Draghi. C’è molto su cui dover lavorare, a partire dallo squilibrio tra difensori e decisori. In Italia alla fine del 2020 si registrano 400 avvocati ogni 100mila abitanti. E’ il quarto Paese dell’UE, dopo Lussemburgo, Cipro e Grecia. Ma ha appena 12 giudici per 100mila abitanti, numero tra i più esigui dell’Unione (peggio solo Svezia, Spagna, Francia, Malta, Danimarca e Irlanda). Le decisioni arrivano tardi perché manca chi la decisione è chiamato a prenderla.
Ma non c’è solo questo problema per il sistema italiano, non a misure di persone con disabilità. Non offre alcun tipo di documento in braille, il sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo per non vedenti e ipovedenti, e non è previsto che chi affetto da disabilità possa essere ascoltato in prima persona per sapere delle proprie volontà. Ancora, non c’è in Italia alcun accesso a soluzioni digitali per tutto ciò che riguarda le decisioni di primo grado.