Strasburgo, dall’inviata – Unione Europea più unita, UE più decisa e più rapida nelle sue decisioni per contare di più anche sullo scacchiere internazionale. E’ netta la presidente della Commissione Europea, Ursula von Leyen, nel parlare della necessità per l’Unione Europea di superare la modalità di voto all’unanimità in alcune materie della politica europea in cui è difficile adottare decisioni rapide, dalla politica estera e di difesa alle sanzioni. Tema più attuale che mai.
L’occasione è la cerimonia che oggi (9 maggio) a Strasburgo ha concluso i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, l’inedito esercizio di democrazia partecipativa avviata il 9 maggio di un anno fa per raccogliere le proposte dei cittadini europei per migliorare il funzionamento dell’Unione Europea. Con la promessa di dare un rapido seguito alle 49 proposte confluite nella relazione finale (“annuncerò le prime iniziative per dare un seguito alle vostre proposte”, ha assicurato la presidente), von der Leyen ha affermato che il voto all’unanimità in alcuni settori chiave “non ha più senso, se vogliamo agire più velocemente. L’Europa dovrebbe anche svolgere un ruolo maggiore nella salute o nella difesa”.
La riforma del processo decisionale in seno al Consiglio è stata uno dei temi chiave di questo percorso durato un anno, tanto che alla fine la richiesta è confluita anche nella relazione conclusiva. Ma le dichiarazioni di von der Leyen hanno un tempismo che non è casuale. Arrivano in un momento in cui i governi europei non trovano da giorni un compromesso sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, in cui la scorsa settimana l’Esecutivo comunitario ha proposto di includere anche un embargo (graduale e con qualche esenzione) sul petrolio greggio e sui prodotti del petrolio raffinato importati dalla Russia.
Gli ambasciatori dei 27 Paesi europei avrebbero dovuto raggiungere un accordo nel fine settimana, prima dell’evento del 9 maggio, ma l’intero pacchetto è in ostaggio di Ungheria, Slovacchia e in parte Repubblica Ceca che temono ripercussioni eccessive sulle proprie economie (particolarmente dipendenti dagli idrocarburi russi). Senza il loro voto, l’intero pacchetto non può essere varato e dunque bisognerà arrivare un compromesso (come sempre al ribasso) per riuscire a trovare una quadra. Poco dopo aver pronunciato queste parole la presidente ha lasciato Strasburgo per volare direttamente a Budapest per un confronto diretto con il premier Viktor Orban per superare lo stallo.
La riflessione del capo dell’Esecutivo comunitario al termine di questo dibattito sul futuro dell’UE è di più ampio respiro rispetto al solo superamento del voto all’unanimità. L’invito è quello a non escludere una riforma strutturata dell’architettura democratica europea, ricorrendo alla riforma dei trattati “dove e se necessario, senza tabù o senza linee rosse”. Quella di von der Leyen è una posizione condivisa dagli altri vertici comunitari presenti alla cerimonia, Roberta Metsola per conto dell’Europarlamento e il presidente francese Emmanuel Macron, per conto del Consiglio in quanto presidente di turno all’UE.
L’Eurocamera ha votato proprio settimana scorsa per l’apertura di una convenzione per aprire formalmente il dibattito sulla revisione dei trattati. “Questa conferenza dimostra anche che esiste un divario tra ciò che la gente si aspetta e ciò che l’Europa è in grado di offrire in questo momento. Ecco perché abbiamo bisogno di una convenzione come passo successivo. Ed è su questo che insisterà il Parlamento europeo. Ci sono problemi che semplicemente non possono aspettare”, ha affermato Metsola, citando i temi dell’energia, della difesa ma anche della salute e della materia finanziaria.
Per conto del Consiglio, anche il francese Macron si è detto favorevole all’avvio di una convenzione per ripensare i trattati. “Dobbiamo cambiare i nostri testi”, ha affermato nel suo lungo intervento. Essere “efficienti significa decidere rapidamente e in modo unitario, saper investire massicciamente nei posti giusti, senza lasciare nessuno indietro, ecco cosa vuol dire essere europei”. Ha ammonito però sulla necessità di aprire una convenzione avendo però bene in mente “dove si sta andando. Nella mia esperienza, quando si iniziano esercizi così ambiziosi, se non si ha un’idea chiara all’inizio, è raro che sia più chiara alla fine”.
La sostanziale apertura che si è manifestata oggi a Strasburgo tra i principali vertici europei non è rappresentativa delle sostanziale divisione che si respira al Consiglio su questo tema. Per aprire una convezione servono 14 Stati membri in seno al Consiglio. Proprio oggi, mentre erano in corso le celebrazioni a Strasburgo, un gruppo di tredici Paesi europei – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia – si sono opposti formalmente alla modifica dei Trattati europei, facendo circolare un non-paper in cui definiscono “prematuro” aprire la riforna dei trattati. Nel documento i tredici Paesi definiscono la Conferenza sul futuro dell’Europa “un esercizio democratico senza precedenti” ma ricordano che “la modifica dei Trattati non è mai stata uno scopo della Conferenza” e “ciò che conta è affrontare le idee e le preoccupazioni dei cittadini”.
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