Bruxelles – Aumento dei prezzi delle materie prime agricole e dell’energia, ma anche delle disuguaglianze. Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, l’associazione che riunisce il mondo agricolo e industria agroalimentare italiana, individua in queste criticità la prima conseguenza di quanto sta avvenendo in Ucraina, che è stata invasa dalla Russia lo scorso 24 febbraio.
Secondo le stime dell’UE, Kiev rappresenta il 10 per cento del mercato mondiale del grano, il 13 per cento del mercato dell’orzo, il 15 per cento del mercato del mais ed è il più importante attore nel mercato dell’olio di girasole (oltre il 50 per cento del commercio mondiale). I bombardamenti di Mosca hanno distrutto o semi-distrutto molti punti di smercio del territorio, costringendo anche Kiev a limitare buona parte delle importazioni per garantire la propria sopravvivenza. Per affrontare il rischio di insicurezza alimentare a livello europeo e globale un cambio di passo deve arrivare in primis da Bruxelles, ha affermato Scordamaglia in una intervista a Eunews evocando la necessità di un “Energy Fund” sulla scia del Next Generation Eu per sostenere il comparto nella crisi in Ucraina.
Eunews: Quali sono e saranno le conseguenze più evidenti di quanto sta avvenendo sul comparto agroalimentare?
Scordamaglia: “Credo che l’effetto principale sia soprattutto un aumento delle disuguaglianze: per la prima volta la FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), denunciando gli indici dei prezzi alimentari più alti, ha detto che torneranno a essere oltre 800 milioni le persone a livello globale che non riusciranno ad avere un’alimentazione adeguata. Circa 400 milioni di persone dipendono direttamente dall’approvvigionamento alimentare di Ucraina e Russia tra Nord Africa e Medio Oriente. Ma disuguaglianza arriva anche a casa nostra, in Europa e in Italia, dove l’incremento dei prezzi aumenta la disuguaglianza alimentare, rende una serie di prodotti sempre meno accessibili a seconda del reddito”.
E.: Da cosa dipende l’aumento dei prezzi?
S.: “E’ legato a molti fattori. In primis, le zone coinvolte nel conflitto danno un contributo importante per la produzione di mais, cereali, grano e olio di girasole. Ma anche a un aumento dei prezzi che già esisteva a causa di una riduzione delle produzioni in Nord America e in Canada. E poi, un ulteriore aggravamento è dettato dal blocco logistico del porto di Shanghai che rischia di peggiorare ulteriormente la situazione”.
E.: L’Italia si sta muovendo bene per ridurre la dipendenza dalle materie prime importate?
S.: “Il Paese sta facendo tutto quello che può fare, ma non è sufficiente se il cambio di passo non si fa a livello europeo. Mentre i capi di Stato e governo dichiarano che la sovranità e la sicurezza alimentare europea devono essere centrali, come la Francia che ha invocato la fissazione di limiti minimi di produzione agroalimentare europea, di contro, vedo una Commissione Europea che invece sulla nuova politica comunitaria (PAC) e sulla (strategia) ‘Farm to Fork’ fa finta che nulla sia cambiato. Continua a giudicare la coerenza dei piani strategici nazionali secondo uno scenario che era attuale mesi fa, ma ora non lo è più. Ora c’è la necessità di produrre e noi abbiamo una strategia che si basa su uno scenario immutato. L’appello dei 9 Paesi (gruppo di Visegrad, vale a dire Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia, insieme a Bulgaria, Lituania, Romania, Croazia e Estonia) che hanno chiesto di posticipare l’entrata in vigore della nuova PAC al primo gennaio 2024, riprendendo una proposta avanzata anche dal ministro Patuanelli, è l’unica cosa di buon senso”.
E.: A cosa servirebbe rimandare l’entrata in vigore della nuova PAC e prolungare l’attuale regime transitorio?
S.: “Secondo gli studi che sono stati presentati, la nuova PAC porterà a un ulteriore calo associato soprattutto alla (strategia) ‘Farm to Fork’ nella produzione agroalimentare, consentirà il prolungamento di misure come il set-aside (un regime agronomico adottato nell’ambito della politica agricola comune, che consiste nel ritirare dalla produzione una quota di superficie agraria per lasciarla a riposo, ndr), il mantenimento dei terreni improduttivi e il divieto di rotazione: ovvero l’opposto di ciò che bisogna fare in un momento in cui la carenza di produzione agricola e l’aumento dei prezzi rischia di provocare, secondo la FAO, la più grave crisi alimentare globale”.
E.: E’ una ipotesi che però la Commissione europea non prende nemmeno in considerazione…
S.: “I capi di Stato e governo vogliono una Europa unita, protagonista geopolitica di un mondo in difficoltà e di fronte all’insicurezza alimentare, mentre la Commissione pensa di rendere attuali i piani strategici e la Pac scritta due anni fa. La politica a Bruxelles deve decidere, altrimenti condannerà l’Europa a una inesistenza geopolitica rispetto a poli del mondo che hanno fatto della sicurezza alimentare la loro forza. Non possiamo permetterci, come dicono le previsioni della ‘Farm to Fork’, di far crollare la nostra produzione agricola e far aumentare i prezzi delle materie prime. Questa è la coerenza che la Commissione europea deve assicurare di fronte a un mondo che fuori è cambiato”.
E.: L’Esecutivo ha chiesto agli Stati di adattare i piani strategici Pac alla guerra, mobilitando misure di sostegno finanziario..
S.: “Le 244 osservazioni che sono state fatte al piano italiano vanno nel senso opposto rispetto a quello che è necessario a incrementare la sicurezza alimentare. Non dicono nulla su come aumentare la sicurezza alimentare, richiamano solo una eccessiva timidezza nella transizione verde, una serie di fattori che chiedono al piano italiano di essere coerente con una strategia che andava bene prima che scoppiasse questa crisi. Manca una riflessione seria se questa Pac sia inadeguata, per capire cosa succederà nei prossimi mesi. Gli aiuti mobilitati sono ridicoli, 500 milioni di euro divisi per 27 Stati membri e che arrivano direttamente dagli agricoltori stessi in un momento in cui è aumentato anche il prezzo del gas”.
E.: Un aiuto potrebbe arrivare da un Energy Recovery Fund, come evocato anche dal ministro Patuanelli?
S.: “I prezzi delle materie prime si ridurranno, quelli dell’energia no. Se qualcuno pensa che senza extra deficit con qualche miliardo di euro si risolverà il problema dell’energia, si illude. Se non si risolverà con un ‘Energy Recovery Fund’ europeo, l’unità europea finirà. Da una parte i Paesi che vorranno chiudere il gas lo faranno verso i più deboli, quanto durerà l’unità europea senza un vero Recovery Fund, senza un debito comune europeo?”.
E.: “La Francia, come presidente di turno dell’Ue, sta promuovendo un approccio multilaterale attraverso la Farm Initiative per la sicurezza alimentare non solo europea ma anche globale. E’ l’approccio giusto?
E.: “E’ la strada giusta, ma deve diventare europea, non che un Paese lo fa e l’altro no. Non si può continuare con questa politica miope della delocalizzazione della produzione: la Spagna, ad esempio, senza notificare il decreto se non a posteriori, sta importando prodotti alimentari trattati con due pesticidi ritenuti dall’EFSA responsabili di danni cerebrali ai bambini. Per lasciare fermi i terreni, scarseggiano i prodotti e i Paesi sono costretti a importarli, ma se si delocalizza la produzione con standard inferiori (perché la reciprocità non esiste realmente) chi non ha possibilità mangerà sempre più in deroga al concetto di food safety (cibo sicuro). Le eccellenze agroalimentari, dall’altra parte, che rispettano anche l’ambiente saranno riservate a poche persone”.