Riproponiamo qui l’intervento del presidente dell’Istituto Affari internazionali per il sito affriniternazinali.it.
Sempre più spesso nel dibattito politico, nei media – soprattutto da parte di esponenti del mondo cattolico e di una certa sinistra – si levano appelli per la pace in Ucraina, e richieste (peraltro legittime) di un’iniziativa politico-diplomatica, che renda possibile una cessazione delle ostilità sul terreno. In prospettiva, si chiede una qualche forma di intesa su un assetto accettabile e condiviso dell’Ucraina una volta conclusa la fase dello scontro e della guerra.
È fin troppo ovvio che la cessazione del conflitto e la pace in Ucraina non possono non essere obiettivi condivisi e condivisibili. Ed è altrettanto ovvio che nessuna persona di buon senso possa desiderare di vedere proseguire indefinitamente questo drammatico scontro armato nel cuore dell’Europa, che ha già causato stragi di civili, distruzioni di città e centri abitati, danni incalcolabili all’economia di un Paese sovrano ed indipendente. Un Paese, è bene ricordarlo, la cui unica effettiva responsabilità è quella di essersi opposto con forza e determinazione ad una aggressione manu militari senza precedenti perlomeno in Europa.
Quello che però i numerosi pacifisti di casa nostra non ci spiegano è come si dovrebbe arrivare ad una tregua e poi alla pace. E su questo punto credo che sia necessario chiarire qualche dettaglio che definirei non irrilevante se ci si pone seriamente l’obiettivo della fine del conflitto.
Dalla ‘guerra lampo’ all’occupazione del Donbas
Le finalità di quella che la Russia definisce un’operazione militare speciale sono state annunciate da Putin nel noto discorso della vigilia dell’invasione. Neutralizzazione, demilitarizzazione e denazificazione (quale che possa essere il significato di questo ambiguo termine) dell’Ucraina, come obiettivi intermedi di una strategia di più lungo periodo che avrebbe dovuto portare alla totale sottomissione dell’Ucraina alla Federazione Russa. Una scelta coerente con la tesi, sostenuta da Putin e dai teorici del pensiero putiniano, secondo cui in fondo l’Ucraina appartiene culturalmente e storicamente alla grande nazione russa.
In coerenza con queste premesse, l’invasione russa del 24 Febbraio è iniziata con un tentativo di guerra lampo, con l’obiettivo di occupare nel giro di pochi giorni Kyiv e gli altri maggiori centri urbani, insediare un governo amico, e poi negoziare con questo governo imposto con le armi un nuovo assetto per il futuro di una Ucraina più “amica” della Russia.
Le strenua ed efficace resistenza dell’Ucraina (resa possibile anche dalla fornitura di armi dai Paesi della Nato) e le pesanti perdite sul terreno hanno costretto Putin a cambiare la strategia dell’operazione militare speciale.
Ora l’offensiva russa sembra concentrarsi sulla occupazione integrale della regione del Donbas, e del corridoio di territorio ucraino che collega il Donbas alla Crimea. È meno chiaro invece (pare che non lo sappiano neanche al Cremlino) se nei piani di Putin figuri anche la conquista di Odessa e l’occupazione di tutta la fascia costiera a occidente di Odessa, con l’obiettivo di impedire qualsiasi accesso al mare per l’Ucraina.
Putin e Zelensky: strategie a confronto
Zelensky avrebbe potuto lasciare il suo Paese all’indomani dell’invasione. Gli stessi americani gliene avevano offerto la possibilità mettendogli a disposizione aerei e ospitalità. Ha scelto di rimanere e di mettersi alla testa di una straordinaria ed epica resistenza che sta testimoniando alla comunità internazionale quale sia la volontà del popolo ucraino.
Il presidente ucraino può contare sulla solidarietà attiva di una quarantina di Paesi (prevalentemente occidentali ma non solo), che hanno adottato pesanti sanzioni nei confronti della Russia, e che hanno deciso di assistere la resistenza ucraina con forniture di quelle armi e di quegli equipaggiamenti militari che sono necessari all’Ucraina per difendersi.
Fino ad oggi la resistenza ha funzionato. L’Ucraina ha inflitto perdite pesanti di uomini e mezzi alla Russia. Ha costretto Putin a modificare e ridimensionare i piani originari dell’invasione. E la resistenza degli ucraini, insieme alle sanzioni occidentali, sta provocando difficoltà crescenti all’economia russa.
Allo stato attuale né certamente Putin, ma per certi aspetti neppure Zelensky, hanno interesse o incentivi ad avviare una seria trattativa di pace. Putin sembra per ora unicamente interessato a proseguire l’offensiva militare sul terreno, perlomeno fino a che non avrà consolidato l’occupazione militare di quelle parti di territorio nell’Ucraina orientale e meridionale che gli consentirà di poter salvare la faccia e dichiarare alla sua “constituency” interna che l’operazione militare speciale è stata un successo.
Zelensky dal canto suo è costretto a continuare a resistere per cercare di contenere sul terreno l’avanzata russa, al limite per cercare di riconquistare porzioni di territorio ora sotto controllo delle forze di occupazione, con l’obiettivo di poter negoziare, quando sarà possibile , da una posizione di minore debolezza.
Le basi per la trattativa di pace
Se le cose stanno così chi invoca la pace ci dovrebbe anche dire a quali condizioni dovrebbe essere possibile arrivare alla tregua e poi alla pace. Un accordo, ipotizzabile fino a qualche settimana fa, fondato su uno statuto di neutralità per l’Ucraina, un’ampia autonomia riconosciuta internazionalmente per il Donbass e un congelamento dello status della Crimea, oggi non è più praticabile.
Condizioni diverse da queste, che prevedano una rinuncia alla sovranità su parti del territorio troppo importanti del territorio dell’Ucraina, non sono evidentemente accettabili per Zelensky e per l’Ucraina dopo più di due mesi di eroica resistenza. Né tantomeno potranno essere gli alleati occidentali dell’Ucraina a imporre a Zelensky condizioni di pace che equivarrebbero ad una resa senza condizioni.
Più che invocare astrattamente la pace (e come corollario la cessazione delle forniture di armi all’Ucraina) i nostri pacifisti dovrebbero quindi chiarire se per pace intendono una resa senza condizioni dell’Ucraina. O se invece una seria trattativa non si possa realisticamente avviare solo quando la resistenza dell’Ucraina costringerà Putin, l’unico che oggi può effettivamente decidere se e quando arrestare le operazioni sul terreno, a decidere finalmente che i costi complessivi dell’aggressione sono superiori allo scenario di una Ucraina “debellata” e definitivamente sottomessa alla Russia.
Nell’attesa che Putin decida dove vuole arrivare e quando deciderà di fermarsi, la prospettiva più realistica resta quella di un lungo conflitto più o meno congelato, e di una frattura di lungo periodo e per ora irreparabile fra la Russia e l’Occidente con tutte le conseguenze del caso.