Bruxelles – L’Europa degli Stati prova ad accelerare su un altro tassello dell’integrazione. I ministri dell’Economia e delle finanze avviano la riflessione sul completamento dell’unione bancaria, processo avviato sulla scia della crisi del debito sovrano e della crisi economica del 2008, che ha portato alla creazione del meccanismo di risoluzione unico attraverso la direttiva per per la risoluzione e il salvataggio bancario, e al passaggio dal regime di aiuti pubblici (bail-out) a quello di interventi privati (azionisti e obbligazionisti, il bail-in. La Banca centrale europea è responsabile della supervisione delle banche cosiddette ‘sistemiche’, quelle una cui crisi di liquidità rischia di creare effetti contagio sull’intero sistema dell’eurozona.
I Ventisette discutono ormai da troppo tempo su come intervenire insieme sulle banche in difficoltà. Lo schema europeo di garanzia sui depositi (EDIS) per tutti i conti inferiori ai 100mila euro si pone l’obiettivo di mettere le banche in sicurezza con risorse comuni, ma il fronte dei Paesi nordici prima della mutualizzazione del rischio vuole la riduzione dello stesso. Non si vuole salvare banche di un Paese con i soldi degli altri Paesi, detto in termini semplificati.
L’Eurogruppo straordinario di martedì 3 maggio intende avviare un dialogo su un programma di lavoro. La proposta di compromesso che il presidente Paschal Donohoe, il ministro delle Finanze irlandese, metterà sul tavolo, stabilisce un tabella di marcia per la strategia di gestione delle crisi bancarie. In un primo momento, che scatterà nel 2025 e resterà in vigore per tre anni, l’uso non standard dei fondi di garanzia (in Italia il Fondo interbancario per la tutela dei depositi FITD) potrà essere autorizzato dopo la conduzione di un test che dimostra i benefici dell’azione. Analisi e intervento saranno condotti dalle autorità nazionali, che resteranno più libere di operare.
Alla fine del 2028, dopo il periodo di tre anni, si condurrà un’analisi per valutare la possibilità di entrare in regime comune. Se le condizioni non dovessero essere riscontrare, si aspetterà. Ma una volta che si entrerà in quella che viene definita ‘fase due’, quando la garanzia dei depositi diventa europea e non più nazionale, allora per intervenire sulle banche in sofferenza servirà l’autorizzazione del Comitato unico di risoluzione. Un passaggio che determina perdita di discrezionalità e potere per le autorità nazionali, come vuole il processo di integrazione, che richiede cessione di sovranità.
L’intenzione dei tecnici dell’Eurogruppo è di spingere sull’acceleratore. Si vorrebbe chiudere il negoziato entro la fine di quest’anno. Gli addetti ai lavori riconoscono che “ci sono ancora sensibilità attorno a questi argomenti”, ma c’è la consapevolezza che il momento per provarci è adesso. “Servono progressi adesso, soprattutto in tempi di incertezza” legati alla guerra in Ucraina, l’alta inflazione, una ripresa in sofferenza. “Anche perché se non riusciamo ora rischiamo di dover attendere molto”.
Gli Stati membri si muovono lungo la direttrice riassicurazione-coassicurazione-assicurazione. L’introduzione di un meccanismo unico di risoluzione con un unico fondo di risoluzione finanziato dal settore bancario per un totale di 55 miliardi di euro, risponde alla prima di queste direttrici. I fondi di garanzia nazionali potranno accedere al fondo unico solo quando le risorse saranno esaurite.
Quello che manca per il completamento dell’unione bancaria è tutto il resto. La co-assicurazione riguarda lo schema di assicurazione dei depositi. Ogni Stato membro deve avere il proprio meccanismo in funzione, per poi renderlo pienamente europeo. Tutto è ancora in fase di definizione, ed è proprio su questo che si intende spingere.