Bruxelles – Non solo per la Francia, ma anche per un altro Paese membro UE questa domenica (24 aprile) sarà un giorno decisivo per gli scenari futuri della politica nazionale. La Slovenia è pronta per le elezioni parlamentari, che decideranno se l’attuale premier, Janez Janša, sarà riconfermato alla guida di una coalizione di governo o se il testimone passerà nelle mani del suo nuovo sfidante, l’imprenditore e faro degli ambientalisti, Robert Golob.
A due giorni dall’appuntamento elettorale, si assiste a un testa a testa tra i due principali sfidanti, il leader sovranista del Partito Democratico Sloveno (SDS) e quello del nuovo Movimento Libertà – formazione di centrosinistra e verde fondata nel maggio dello scorso anno – appaiati secondo i sondaggi tra il 25 e il 26 per cento delle intenzioni di voto degli elettori sloveni (con Janša ancora in leggero vantaggio). La crescita del Movimento Libertà (GS) è stata vertiginosa, con la conquista di venti punti percentuali nel giro di un solo mese e mezzo, tra metà dicembre e inizio febbraio.
Parallelamente, gli istituti di ricerca e sondaggi hanno registrato un crollo verticale dei Socialdemocratici (SD) guidati dall’eurodeputata Tanja Fajon (S&D), passati da prima forza di opposizione al 19 per cento agli attuali 9 punti percentuali, solo due in più di Nuova Slovenia – Partito Popolare Cristiano (affiliato al PPE) del ministro della Difesa, Matej Tonin, e tre in più rispetto alla sinistra di Levica dell’attivista Luka Mesec.
Quello che appare abbastanza evidente alla vigilia del voto in Slovenia è che la strategia del centrosinistra non sembra essere cambiata negli ultimi quindici anni: per l’ennesima volta si punta su un volto nuovo e sull’anti-janšismo per provare a vincere le elezioni e nascondere le divisioni che la paralizzano, sia a livello di singole personalità politiche, sia a livello di partito. Con questa chiave si possono leggere sia il crollo dei socialdemocratici, sia la crescita esponenziale di una formazione fino a un anno fa inesistente.
La carta pescata dal mazzo quest’anno è l’ex-amministratore delegato del gruppo energetico GEN-I e ambasciatore del Patto europeo per il clima della Slovenia, diventato leader del Movimento Libertà lo scorso 24 gennaio, e che non sarebbe sembrato per nulla fuori luogo in una formazione di centro-destra. L’obiettivo dell’inedito centro-sinistra verde è di andare a raccogliere i voti nell’area liberale, in cerca di un punto di riferimento politico a ogni tornata elettorale.
Ma la vera partita in Slovenia non si giocherà tanto il giorno delle elezioni, ma proprio all’indomani del voto, quando il vincitore relativo dovrà trovare una quadra sulla formazione del governo con i piccoli partiti che saranno riusciti a superare la soglia di sbarramento al 4 per cento. Saranno loro – i vari Lista Marjan Šarec (liberali), la lista Connettiamo La Slovenia (conservatori e verdi-conservatori), il Partito di Alenka Bratušek (social-liberali) – insieme ai socialdemocratici e i cristiano-popolari, a fare da ago della bilancia per il nuovo esecutivo, decidendo se riconfermare per la prima volta Janša come primo ministro o se far fare a Golob il salto dalla guida di un gruppo industriale a quello di un governo.
Il leader sovranista ed ex-ministro della Difesa ai tempi dell’indipendenza del Paese dalla Jugoslavia (27 giugno – 6 luglio 1991) aveva già mancato l’obiettivo nel 2008, al termine del suo primo mandato come primo ministro, sconfitto dall’attuale presidente della Slovenia, Borut Pahor. Alle elezioni anticipate del 2011 il centro-sinistra mostrò per la prima volta la tendenza a richiedere l’intervento di un uomo-simbolo dietro cui schierarsi per sconfiggere l’eterno avversario Janša. Oggi è Golob, 11 anni fa il sindaco di Lubiana ed ex-manager della catena di supermercati Mercator, Zoran Janković, prima di Alenka Bratušek (dopo il breve Janša II tra il 2012 e il 2013), il professore di diritto internazionale Miro Cerar (al governo tra il 2014 e il 2018) e il comico prestato alla politica Marjan Šarec.
Proprio a Šarec si deve il ‘miracolo’ di aver fatto risorgere politicamente Janša dopo sette anni lontano dai palazzi del potere a Lubiana. Dopo due anni di governo tra il 2018 e il 2020, il premier liberal-democratico decise di rassegnare le dimissioni per tornare alle urne e fare incetta dei voti dei piccoli partiti liberali in Parlamento. Di fronte al pericolo di sparire dalla scena politica, gli stessi alleati centristi di Šarec cambiarono immediatamente bandiera, alleandosi con il leader dei sovranisti dell’SDS e portandolo al governo.
Negli ultimi due anni alla guida del Paese, Janša ha aumentato il proprio prestigio personale, guidando la Slovenia durante la pandemia COVID-19 (nonostante i casi di corruzione che hanno travolto alcuni membri del suo gabinetto), ma soprattutto durante la presidenza di turno del Consiglio dell’UE nel secondo semestre del 2021 – con il nuovo ruolo che ha cercato di imprimere al processo di allargamento UE ai Balcani Occidentali – e nella dura reazione all’invasione russa dell’Ucraina che ha contraddistinto l’Unione negli ultimi due mesi. Proprio Janša è stato il primo premier europeo – insieme a quelli di Repubblica Ceca e Polonia – a recarsi in missione a Kiev sotto assedio, a meno di tre settimane dall’inizio dell’aggressione russa.
Ma allo stesso tempo la Slovenia sotto il premier sovranista ha visto peggiorare i propri standard sulla libertà di stampa e sullo Stato di diritto, con continue interferenze dell’esecutivo sul sistema giudiziario e con il rifiuto iniziale del governo a presentare i suoi due delegati nell’EPPO (European Public Prosecutor Office), la Procura europea attiva dal giugno dello scorso anno. Solo a novembre sono stati nominati Frank Eler e Matej Oštir, dopo le dimissioni della ministra della Giustizia, Lilijana Kozlovič, per provare a spazzare via i dubbi sull’utilizzo improprio dei fondi UE nel Paese: preoccupazioni che si sono ripresentate a fine gennaio, di fronte a una proposta di legge che taglierebbe i tempi d’indagine per vari tipi di reati, tra cui la frode ai danni dei fondi comunitari.
Come se non bastasse, Janša era stato protagonista di uno scontro con alcuni eurodeputati – che aveva definito “burattini di Soros” – e a gennaio dello scorso anno si era congratulato con Donald Trump prima che fossero pubblicati i risultati delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Più di recente, il ‘Maresciallo Twito’ (come viene definito per il suo uso quasi spropositato di Twitter) aveva anticipato sui social media la visita a Kiev della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e dell’alto rappresentante, Josep Borrell, attirando le critiche dell’esecutivo comunitario per aver rischiato di mettere in pericolo la sicurezza dei due leader dell’Unione e mandare all’aria la loro missione diplomatica. Per l’imprevedibilità di Janša e la sua tendenza a guardare all’asse sovranista ed estenderlo sui Balcani, in molti a Bruxelles sperano nella sua sconfitta alle elezioni domenica e nella capacità dell’ambasciatore sloveno del Patto europeo sul clima Golob di formare un governo e tenere dritto il timone della Slovenia per i prossimi quattro anni.