Strasburgo – Prendi ottocento cittadini provenienti da tutti e ventisette gli Stati europei. Riuniscili e poi divili in quattro gruppi tematici, chiedigli di immaginare come sarà l’Unione Europea nel 2050 e portali a formulare proposte per l’Europa di domani. E’ quello che l’inedita Conferenza sul futuro dell’Europa ha cercato di fare negli ultimi dodici mesi: individuare i punti deboli e i limiti del progetto europeo, dando voce a chi i limiti e le criticità del progetto europeo le vive in prima persona ogni giorno, i suoi cittadini.
Proposta dal presidente francese Emmanuel Macron, la Conferenza sul futuro dell’Europa – conosciuta ormai con la sigla CoFoE – è stata subito presa a cuore dall’ex presidente del Parlamento Europeo David Sassoli che si fece promotore di uno slancio di riforma delle istituzioni europee attraverso questo processo. Quasi dodici mesi dopo il suo avvio, l’inedito esercizio di democrazia partecipativa è arrivato al rush finale: lunedì 9 maggio, giornata in cui ogni anno si celebra la Festa dell’Europa perché si ricorda la dichiarazione di Schuman, si terrà un grande evento conclusivo a Strasburgo in cui si tenterà di tirare le somme dell’anno e delle 178 raccomandazioni che i cittadini hanno formulato.
Come si arriverà a quel 9 maggio, però, è ancora da vedere. Venerdì 8 e sabato 9 aprile si è riunita al Parlamento europeo di Strasburgo la sesta e penultima sessione plenaria della Conferenza che ha proseguito il lavoro di discussione con le istituzioni e la società civile sulle proposte in fase di elaborazione nei nove gruppi di lavoro: Democrazia; Economia; Valori e diritti; Educazione, cultura e gioventù; Migrazioni; Trasformazione digitale; Clima e ambiente; Europa nel mondo (ovvero politica estera) e Salute.
Ciascuno dei nove working group, in sostanza, sta raggruppando in temi e in un unico documento le quasi duecento raccomandazioni emerse in quasi un anno di lavoro. Questa ad esempio è la bozza del documento che riguarda il cambiamento climatico e l’ambiente, come si vede le raccomandazioni si stanno trasformando in obiettivi e in misure con cui perseguirli. Nella relazione finale, presumibilmente, sparirà la dicitura di “raccomandazioni”, si sta cercando di elaborare un testo fluido e più scorrevole di un elenco di raccomandazioni all’UE.
Questo lavoro si rende necessario innanzitutto perché tra le 178 raccomandazioni finali ce ne sono molte simili tra loro o che rientrano nella stessa area tematica pur essendo state formulate da panel diversi. Un esempio: l’indipendenza energetica è un tema che spicca sia nei lavori del terzo panel sul cambiamento climatico e l’ambiente, ma anche nel quarto sulla dimensione esterna dell’UE, vista la richiesta di maggiore indipendenza dalle fonti di energia importate da Paesi terzi. L’argomento è in cima alle preoccupazioni per via della guerra di Russia in Ucraina e la necessità di porre fine alle importazioni di idrocarburi russi per smettere di finanziare la guerra di Putin. Quando la Conferenza è stata lanciata il 9 maggio del 2021 e quando è iniziato il lavoro dei cittadini sulle raccomandazioni la guerra non c’era, ma oggi li ha spinti a riconsiderare quali siano le priorità dell’UE di domani. Ma anche la richiesta di ripensare il sistema di voto all’unanimità per i temi di politica estera è emerso tanto nel secondo panel sulla Democrazia europea (che aveva una parte specifica dedicata all’organizzazione della struttura democratica dell’UE) come nel quarto sull’Europa nel mondo.
I working group stanno lavorando su una bozza di documento che è stato redatto per loro dal segretariato della Conferenza, ovvero l’organo che si occupa dei dettagli tecnici, insieme al presidente dei gruppo di lavoro. I cittadini hanno l’ultima voce in capitolo sul documento finale in quanto devono controllare che tutte le loro istanze non vadano perse in tutti questi passaggi tra la formulazione delle raccomandazioni e la stesura della relazione finale. Prima della prossima plenaria del 29-30 aprile, che sarà anche l’ultima, i cittadini avranno altri cinque meeting online per lavorare alla relazione finale, che sarà redatta al prossimo incontro di fine mese e presentata ufficialmente ai tre co-presidenti – la vicepresidente Dubravka Suica per la Commissione, l’eurodeputato Guy Verhofstadt per il Parlamento Europeo e Clément Beaune, segretario di Stato francese, per conto del Consiglio – il 9 maggio.
Nella dichiarazione congiunta che ha dato avvio a questa Conferenza, le istituzioni si sono impegnate a “esaminare rapidamente il modo di dare un seguito efficace alla relazione” finale. Che vuol dire tutto e non vuol dire niente. A Strasburgo, però, il clima non è dei migliori e la ragione, come spesso accade a livello europeo, è la profonda divisione di vedute tra Istituzioni UE che compongono anche la plenaria. Lotte intestine sulla leadership e l’aspirazione federalista di questa Conferenza sono le ragioni che ne hanno ritardato di un anno la partenza, a cui in parte si deve anche la pandemia COVID-19.
Anche oggi la triade è divisa su come fare proseguire i lavori e come affrontare la relazione finale. Più di una voce sostiene che il Consiglio voglia lasciare il documento finale della Conferenza così come da richiesta dei cittadini, forse per “concedere” in questa fase ancora interlocutoria quanto possibile per poi scegliere in un secondo tempo di non adottare nessuna delle proposte più rivoluzionarie per lo status quo. Questo perché le istituzioni non sono vincolate ad adottare automaticamente le proposte della relazione finale. Il Parlamento, dal canto suo, spingerà per una modifica dei trattati, proponendo con grandi probabilità la convocazione di una convenzione europea sul futuro dell’Europa, come quella convocata tra il 2001 e il 2003 che ha portato a un progetto embrionale di una Costituzione europea con cui revisionare i trattati fondativi dell’UE. Un progetto definitivamente abbandonato nel 2007, con lo stop alle ratifiche imposto dai ‘no’ ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi.