Roma – Un ‘Documento di economia e finanza’ di guerra. Le stime presentate non danno margini di sereno sul breve e medio termine e l’impatto del conflitto sull’economia avrà effetti nel lungo periodo. Tuttavia, in parte già sapevamo che la crescita avrebbe rallentato dopo il rimbalzo post pandemia, condizionata ancor di più dall’aumento dei prezzi dell’energia, delle materie prime e dalle catene della logistica nuovamente imbrigliate dalle sanzioni.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi presentando il DEF ha confermato questo contesto, assicurando che “faremo tutto ciò che è necessario per aiutare famiglie e imprese all’interno di una cornice di decisioni europee e di equilibrio dei conti”. Il margine d’intervento per ora resta nel perimetro di un recupero tra deficit programmatico e tendenziale, un mezzo punto ritagliato che vale 5 miliardi di euro. Una dotazione che sarà assegnata al prossimo decreto per contenere i costi energetici, per famiglie e imprese, coprire gli extra costi delle opere del PNRR e per le garanzie sul credito.
Difficilmente basterà perché il nuovo fantasma si chiama inflazione che ormai molti analisti considerano non più temporanea e sganciata dalle forti iniezioni monetarie dei due anni addietro. I prezzi delle energie da fossili, primo fra tutti il gas, continueranno a crescere con una domanda ancora sostenuta ma con gli investimenti destinati a calare. Motivi per cui la spinta sulle rinnovabili non deve essere solo l’alternativa ma una scelta strategica e ogni passo indietro come quelli annunciati (seppur temporanei) sul carbone, portano dritti alla recessione. Parola che neppure a Bruxelles si pronuncia volentieri ma senza il colpo di reni, analogo a quello compiuto per la pandemia, rischia di compromettere l’unità mostrata dai 27 sulla guerra e le decisioni sulle sanzioni alla Russia ma che nella prospettiva dell’embargo energetico vede aprire qualche crepa.
L’orticello di casa non esisteva per il virus e non esiste neppure per l’energia, e per resistere alle tentazioni di stampo sovranista occorre un nuovo sforzo di debito comune, non di ristoro ma dedicato a investimenti settoriali per uscire definitivamente dalla prigionia fossile. La politica di bilancio dell’UE non può che continuare ad essere espansiva, magari più mirata e la stessa politica monetaria non dovrebbe dare segnali contrari per un giusto bilanciamento che allontani le incertezze e metta gli investitori in un corridoio di stabilità.
L’Italia per ora sfugge a un nuovo scostamento di bilancio e probabilmente il ministro dell’Economia Daniele Franco ha le sue ragioni, e in attesa di segnali da Bruxelles, resiste alle pressioni della maggioranza. Ma con nuove sanzioni energetiche, l’impatto sull’intera industria europea sarebbe forte e gli Stati non potranno certo essere lasciati soli. Il premier Draghi ha detto di voler fare tutto nella cornice europea, embargo del gas compreso, ma non ha detto esplicitamente con quale posizione si schiera l’Italia. La battuta “volete la pace o il condizionatore”, può servire per finire nei titoli dei giornali ma forse dal governo dovremmo aspettarci qualcosa di più analitico in tema di politica economica e industriale. Quella risposta invece significa che un piano concreto e realistico per fronteggiare gli eventi, l’Italia non ce l’ha.