Strasburgo, dall’inviato – Procede senza sosta l’azione dell’Unione Europea contro le violazioni dello Stato di diritto da parte di Polonia e Ungheria. All’indomani dell’annuncio da parte della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, dell’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto contro Budapest, alla plenaria del Parlamento Europeo è stato fatto il punto oggi (mercoledì 6 aprile) sul mancato rispetto dei principi fondanti dell’Unione da parte di entrambi i Paesi. Sul tavolo non solo il meccanismo che vincola l’erogazione dei fondi comunitari, ma anche la procedura che permette di sospendere i diritti di adesione in caso di violazione “grave e persistente” da parte di uno dei Ventisette.
La violazione dello Stato di diritto “non è questione teorica, ma qualcosa che si percepisce nell’erosione della fiducia democratica“, ha commentato la vicepresidente della Commissione UE sui Valori e la trasparenza, Věra Jourová, intervenendo al dibattito in plenaria. Se la Polonia “si sta indebolendo a partire dal piano dell’indipendenza della magistratura”, l’Ungheria ha un problema di corruzione e autocrazia: “Il sistema democratico non è quello in cui chi vince le elezioni si prende tutto, dai media ai giudici”, ha incalzato la vicepresidente Jourová, facendo riferimento alle provocazioni del premier ungherese, Viktor Orbán, rieletto per la terza volta domenica (3 aprile). Come illustrato nel Rapporto 2021 sulla condizione dello Stato di diritto in Europa, in Ungheria “rimangono irrisolti” i rischi di clientelismo, favoritismi e nepotismo nella pubblica amministrazione di alto livello e quelli legati al rapporto tra imprese e politici.
Proprio nei confronti dell’Ungheria è stato attivato per la prima volta il meccanismo previsto dal regolamento del dicembre 2020 – decisione che invece non è ancora stata presa nei confronti della Polonia, nonostante le insistenze dell’Eurocamera – anche se la Commissione esprime “rammarico per non aver visto movimenti nella giusta direzione e apertura al dialogo da parte delle autorità”. Il colpo decisivo per l’asse sovranista Budapest-Varsavia è arrivato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE dello scorso 16 febbraio, con cui era stato respinto il ricorso sul meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto. I giudici europei hanno riconosciuto che questo strumento è stato adottato “sul fondamento di una base giuridica adeguata”, che rispetta “i limiti delle competenze attribuite all’Unione e il principio della certezza del diritto” e che è compatibile con la procedura prevista all’articolo 7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
Questo punto riguarda in particolare Varsavia. Lo scorso 22 febbraio si è tenuta la quinta audizione formale sulla Polonia nell’ambito della procedura secondo l’articolo 7 del TUE, dopo l’avvio della procedura d’infrazione contro Varsavia del dicembre dello scorso anno per il contenzioso tra le Corte Costituzionale polacca e la Corte di Giustizia dell’UE sull’indipendenza dei giudici e il primato del diritto comunitario. Si tratta della possibilità di sospendere i diritti di adesione all’UE (come il diritto di voto in sede di Consiglio), in caso di violazione “grave e persistente” dei principi fondanti dell’Unione da parte di un Paese membro. Per seguire questa strada, il Parlamento Europeo dovrebbe dare parere positivo con una maggioranza di due terzi, mentre la delibera dovrebbe arrivare dal Consiglio UE, con una maggioranza di quattro quinti dei membri (il Paese membro in questione non parteciperebbe alla votazione). Un’audizione in questo senso “si svolgerà anche per l’Ungheria il prossimo 30 maggio”, ha anticipato la vicepresidente Jourová.