Strasburgo – Quattordici per cento all’ora. E’ quanto, in media, una donna guadagna in meno rispetto a un qualunque uomo nella UE, a parità di lavoro e a parità di mansioni lavorative. La disparità di stipendi è solo uno dei modi in cui il divario di genere si articola e su cui l’UE fa progressi lenti, ma li fa. La Commissione Europea si è impegnata contro la disparità di stipendi, proponendo un anno fa una nuova direttiva per obbligare le aziende alla trasparenza salariale per rendere più facile garantire che tutti i lavoratori dell’UE abbiano la stessa busta paga, a parità di mansioni.
Dopo anni di immobilismo delle istituzioni, qualcosa si muove. Ieri pomeriggio (5 aprile) l’Europarlamento riunito a Strasburgo in plenaria ha adottato con 403 voti favorevoli, 166 contrari e 58 astensioni il suo mandato per avviare i negoziati con gli Stati membri (che hanno già adottato la loro posizione a dicembre). Presumibilmente prenderanno il via già sotto la presidenza francese del Consiglio UE, di turno fino alla fine di giugno, che si è dimostrata intenzionata a portare avanti il dibattito a livello europeo sulla parità di genere, sbloccando anche la proposta sulla presenza femminile nei consigli di amministrazione in stallo al Consiglio da dieci anni.
La proposta di direttiva
L’Emiciclo di Strasburgo sostiene la proposta della Commissione perché tutte le aziende europee con almeno 50 dipendenti siano obbligate a pubblicare i dati sulla retribuzione per genere e affrontare qualsiasi divario retributivo esistente. Sbloccare le clausole contrattuali che impediscono a chiunque di dire quanto ricevono in busta paga, secondo l’UE, dovrebbe rendere tutto il processo più trasparente e intervenire lì dove è necessario farlo. Quando le retribuzioni rivelano un divario retributivo pari o superiore il 2,5 per cento (la proposta iniziale della Commissione prevede il 5 per cento) i datori di lavoro secondo gli eurodeputati dovrebbero condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d’azione per garantire la parità.
La parità di genere passa attraverso varie dinamiche, dalla rappresentanza limitata ai vertici di potere, agli stipendi inferiori alle pensioni più basse e a maggiori rischi di povertà. La parità salariale, tra l’altro, è sancita dai trattati dell’Unione Europea da più di sessant’anni, ma non è ancora una realtà. La Commissione a guida Ursula von der Leyen ha inserito il tema tra le priorità del suo mandato e ha preso di petto la necessità di fare di più contro le discriminazioni di genere sul lavoro. Rimangono forti e sostanziali le differenze tra i vari Stati membri, si passa da un divario dell’1,4 per cento in Lussemburgo tra stipendi di donne e uomini, all’Italia dove le donne ricevono in media il 3,8 per cento in meno degli uomini per lo stesso lavoro.
“Oggi siamo più vicini a eliminare il divario retributivo di genere in Europa”, ha commentato la relatrice per il Parlamento Samira Rafaela (Renew Europe, NL) dopo il voto. “In Parlamento, abbiamo cercato di trovare il giusto equilibrio tra la garanzia del diritto all’informazione per le lavoratrici e la limitazione degli oneri inutili per le aziende. In questo modo possiamo rendere la parità di retribuzione per uno stesso lavoro una realtà per le donne in Europa”.