Bruxelles – L’Ungheria è pronta per una delle elezioni più importanti della sua storia recente. Fra meno di 72 ore gli elettori saranno chiamati alle urne per il rinnovo dell’Assemblea nazionale e per esprimersi sulla controversa legge anti-LGBT+. Ma ormai si tratta di un vero e proprio voto sul padre-padrone del Paese, il premier Viktor Orbán, per concedergli il quarto mandato consecutivo o per spodestarlo da una posizione di potere che occupa ininterrottamente dal 29 maggio 2010 (dopo esserlo stato anche dal 1998 al 2002), e che lo ha reso il primo ministro più longevo di tutta l’Unione Europea.
Domenica (3 aprile) a Budapest e su tutto il territorio nazionale andrà in scena, nonostatnte una quasi assoluta mancanza di una libera informazione, una resa dei conti del premier contro l’opposizione unita, ovvero i sei partiti che contestano il sistema di governo del partito Fidesz (il Partito Socialista Ungherese, i verdi di Dialogo per l’Ungheria e di La politica può essere Diversa, la destra nazionalista di Jobbik, i progressisti di Coalizione Democratica e i liberali di Movimento Momentum). Nonostante le evidenti differenze ideologiche, per superare l’alto sbarramento elettorale posto da Orban, le sei forze d’opposizione si sono unite dietro all’economista conservatore Péter Márki-Zay, candidato-premier che ha promesso battaglia al “sistema criminale in atto da 12 anni”, e hanno eletto candidati comuni nei singoli distretti elettorali.
In vista delle elezioni di domenica, che si svolgeranno con una legge elettorale che Orban negli anni ha disegnato in modo molto vantaggioso per il suo partito, con collegi definiti ah hoc, i sondaggi confermano il testa a testa tra Fidesz e l’opposizione unita in Ungheria, con il partito del premier Orbán in vantaggio, 50 per cento contro il 45 delle forze politiche guidate da Márki-Zay. Il clima nel Paese è particolarmente teso, al punto che, secondo una campagna di interviste del Republikon Institute (think tank con sede a Budapest), un terzo della popolazione attiva starebbe considerando la possibilità di abbandonare l’Ungheria nel caso in cui Fidesz dovesse vincere nuovamente le elezioni. Ad appesantire il clima elettorale è anche la contemporanea consultazione sul referendum sui diritti LGBT+ convocato dal governo Orbán.
Già nel luglio dello scorso anno il premier ungherese aveva anticipato i cinque quesiti referendari. Le schede riporteranno le seguenti domande: 1) Sei a favore dello svolgimento di presentazioni negli istituti di istruzione pubblica che introducano i minori a temi sull’orientamento sessuale senza l’autorizzazione dei genitori? 2) Sei a favore della promozione di trattamenti di riassegnazione di genere per i minori? 3) Sei a favore che trattamenti per la riassegnazione di genere siano messi a disposizione dei minori? 4) Sei a favore che ai minori vengano mostrati, senza alcuna restrizione, contenuti media di natura sessuale in grado di influenzare il loro sviluppo? 5) Sei a favore che ai minori vengano presentati contenuti multimediali che mostrino la riassegnazione di genere?
Come rilevato dalla Commissione Europea in occasione dell’apertura della procedura d’infrazione contro l’Ungheria lo scorso anno, il disegno di legge pone l’omosessualità, il cambio di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita allo stesso livello della pornografia, considerandole pratiche che esercitano influenza negativa sullo sviluppo morale e fisico dei minorenni. Per Bruxelles tutto questo è una “violazione della dignità umana, della libertà di espressione e di informazione, del rispetto della vita privata e del diritto alla non discriminazione”.