Bruxelles – Un Consiglio Europeo che lascia la sensazione che, almeno sul piano della politica estera, l’Unione si stia incamminando su un sentiero da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Un mese di guerra della Russia in Ucraina ha dimostrato che i leader UE sembrano pronti a esorcizzare una chimera che non ha mai fatto dormire sonni tranquilli al progetto comunitario, dal giorno della sua nascita: una politica estera e di difesa comune. Il via libera alla Bussola Strategica per la difesa comune 2030, combinato con “l’adozione entro la fine del 2022 di misure per promuovere e facilitare l’accesso ai finanziamenti privati per l’industria della difesa“, come si legge nelle dichiarazioni conclusive della due-giorni di vertice UE, vanno in questa direzione.
Sarà proprio il Consiglio a tenere “regolarmente controllata” l’attuazione del nuovo strumento che rappresenta “un grande passo in avanti nella definizione di una politica di sicurezza comune dell’Unione”, come l’aveva definito l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e “se necessario, fornirà ulteriori orientamenti”. Che il colpo di grazia all’implementazione di questo progetto comune sia arrivato dall’offensiva militare della Russia, lo evidenziano gli stessi 27 leader dell’UE: “Dobbiamo tenere conto della nuova situazione della sicurezza in Europa, che rappresenta un cambiamento importante nel suo ambiente strategico“. La Bussola strategica – il primo embrione di una difesa comune – è un insieme “coerente” di azioni, mezzi e obiettivi “per questo nuovo slancio”.
Se bisogna seguire i soldi per capire in che direzione vanno i progetti politici, si può scendere dalle dichiarazioni di principio al piano concreto: “Vanno stimolati gli investimenti e l’innovazione per sviluppare insieme le capacità e le tecnologie necessarie” e allo stesso tempo “deve essere sfruttato tutto il potenziale degli strumenti e delle iniziative di finanziamento dell’Unione Europea”, in particolare il Fondo europeo per la difesa e la cooperazione strutturata permanente, il piano di sviluppo delle capacità e la revisione annuale coordinata sulla difesa. Prossimo appuntamento a metà maggio, quando la Commissione UE avrà elaborato un’analisi sulle lacune di investimenti e proporrà “ulteriori iniziative per rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea“.
Il capitolo della difesa comune è pregnante anche nell’impegno del governo guidato da Mario Draghi per aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL. “Questo avviene all’interno della difesa europea, che è fondamentale per l’integrazione politica“. Un concetto che affonda le radici agli albori del progetto comunitario: “Chi volle la difesa europea, bloccata poi dal veto francese, fu Alcide De Gasperi“, ha sottolineato il premier italiano in conferenza stampa al termine del vertice di Bruxelles. “Avere la difesa europea vuol dire che non ci faremo più guerra tra di noi e dobbiamo impegnarci per coordinarci meglio, anche con una maggiore spesa”, come “tutti gli esperti dicono che è necessario e urgente”. Un’urgenza e una necessità che l’UE avverte da quando la Russia ha invaso l’Ucraina “con logiche che appartenevano ad altre epoche”, ha insistito Draghi.
Ma l’unità in politica estera si stringe in modo sempre più coordinato insieme allo sforzo dei leader UE di “chiudere le maglie larghe delle sanzioni” contro la Russia. La condanna unanime all’aggressione russa non è una novità e nemmeno lo è l’impegno a rafforzare il regime di misure restrittive. Ma quello che davvero spicca nell’atteggiamento su questo fronte è il tentativo di parlare a una sola voce, mettendosi a capo di una coalizione che “ormai conta già 40 Paesi in tutto il mondo, la metà del PIL globale”, come ha sottolineato la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, dopo la fine delle quasi dieci ore di discussioni con i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione. Una leadership che va incontro anche alle aspettative del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, presente fisicamente in queste due giornate di incontri di alto livello a Bruxelles. A oggi sono quattro i pacchetti di sanzioni che “prosciugano le risorse a cui attinge l’economia russa”. Tuttavia, “ancora non sono riuscite alla perfezione”, ha avvertito la leader dell’esecutivo comunitario: “Abbiamo sistemi diversi, ma un obiettivo comune, e questo ci permetterà di chiudere le scappatoie e gli aggiramenti delle sanzioni“.
Insomma, i leader UE sanno che per “chiudere i buchi” serve un lavoro coordinato tra i Ventisette e un “supporto della Commissione Europea”, ma anche che è necessario applicarle meglio e impedirne l’elusione: non si potrà prescindere dal “lavoro con Paesi terzi per sensibilizzarli a seguire la nostra stessa impostazione contro la Russia“, ha aggiunto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Fonti europee fanno però sapere che sarà necessario uno sforzo diplomatico e una prova di unità in politica estera non indifferente da parte dell’Unione: in Europa “preoccupa soprattutto il non allineamento della Serbia“, che al momento né Bruxelles né Washington sono riusciti a convincere. I leader UE “continuano a provarci”, per non rischiare di lasciare alla mercé di Mosca un avamposto per la destabilizzazione della regione balcanica.
A proposito di Balcani Occidentali, “la Bosnia ed Erzegovina ha richiesto una discussione più lunga e complessa del previsto“, spiegano le stesse fonti, che sottolineano come “la situazione era già complessa, e ora si intensificano le destabilizzazioni russe”. Le conclusioni del Consiglio dedicano uno degli ultimi punti alla questione bosniaca, chiamando i leader del Paese – in particolare il serbo-bosniaco, Milorad Dodik – alla dimostrazione di “un forte impegno a portare a termine rapidamente la riforma costituzionale ed elettorale” e a “sostenere tutte le altre riforme prioritarie indicate nel parere della Commissione per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE”. Timido invece il passaggio sulla Cina, a differenza dell’appello arrivato ieri dalla NATO: uno “scambio di opinioni” sulle relazioni con Pechino “nel nuovo contesto globale”, con riferimento sia alla guerra in Ucraina sia al vertice UE-Cina di venerdì prossimo (primo aprile). Sul nuovo sentiero della politica estera comune i Ventisette sono chiamati a fare passi più decisi.