Bruxelles – Martin Banks, giornalista britannico a Bruxelles, è stato fermato e trattenuto dalle autorità di polizia britanniche al terminal dell’Eurotunnel di Calais apparentemente senza un motivo. È stato interrogato per sei ore sulle sue attività giornalistiche ai sensi dello “Schedule 3 Counter-Terrorism and Border Security Act 2019”, senza che gli fosse mai stato detto di cosa fosse sospettato.
Banks, 62 anni, giornalista da 42, vive in Belgio dal 2001 e il 26 febbraio scorso con la moglie e due figli adolescenti, stava andando nel Regno Unito in macchina per una settimana di vacanza.
Human Rights Without Frontiers (HRWF) lo ha incontrato e raccolto la sua testimonianza, secondo la quale erano circa le 9.30 quando la famiglia è arrivata al terminal dell’Eurotunnel a Calais (Francia) e sono stati fermati mentre stavano per passare attraverso il controllo delle forze di frontiera britanniche e Banks è stato scortato da tre agenti nella stazione di polizia sul “lato britannico”.
È stato portato in una piccola stanza della stazione dove gli hanno letto i suoi diritti. Il giornalista ha rifiutato l’invito a farsi rappresentare da un legale perché non sapeva perché ne avrebbe avuto bisogno.
Nel frattempo, sua moglie e i loro due i figli stavano in macchina, ignari di quello che stava succedendo. Poi il loro veicolo è stato accuratamente perquisito insieme alle borse di sua moglie e della figlia adolescente. Alcuni oggetti sono stati portati via. Questa esperienza aveva ridotto entrambi alle lacrime.
Nel corso di sei ore, il funzionario esaminatore e i suoi colleghi hanno rivolto a Banks centinaia di domande, principalmente legate al suo lavoro giornalistico sulla pandemia di coronavirus, Ucraina e Russia, ma anche su ogni articolo raccolto dalla sua auto: un numero di due anni del New York Times, dozzine di articoli stampati da Internet, note personali, ecc.
Per quanto riguarda l’Ucraina, gli è stato più volte chiesto della sua visita nella regione del Donbas nel 2014-15 durante un viaggio giornalistico con altri giornalisti internazionali. C’erano anche una serie di domande sui suoi presunti legami con la Russia che ha visitato solo una volta, nel 1992, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Gli sono state fatte domande sull’azienda (britannica) per cui lavora e sulle sue finanze personali.
Poi un altro agente ha preso il suo DNA, numerose fotografie da varie angolazioni e impronte biometriche.
Quando alla fine fu raggiunto il limite massimo delle sei ore di fermo, l’ufficiale inquirente gli comunicò che avrebbe dovuto trattenere diversi oggetti prelevati dalla sua auto e che avrebbe potuto trattenerli per un massimo di sette giorni. Questi erano: il suo laptop; un cellulare belga; un telefono cellulare del Regno Unito; cinque DVD contenenti foto di famiglia e una scheda di memoria per la sua fotocamera.
Al termine della procedura, gli è stato detto che non sarebbe stato arrestato o accusato, senza ulteriori parole di spiegazione.
Il 6 marzo, data prevista per il suo ritorno in Belgio, ha raccolto gli oggetti dalla stazione di polizia di Longport, situata vicino al sito dell’Eurotunnel a Folkestone.
“Questa privazione della libertà per sei ore è un tentativo estremamente serio di limitare la libertà dei media e dei giornalisti tanto più che il suo laptop è stato confiscato per sette giorni – commenta infine Willy Fautré, direttore di HRWF -. Si può ragionevolmente presumere che le autorità britanniche abbiano avuto accesso a tutte le sue fonti di informazione e abbiano fatto una copia di questo prezioso materiale. Anche la vita privata della sua famiglia è stata gravemente violata”.