Introduzione
Guerra: la più spregevole delle azioni dell’essere umano è tornata! Questa volta nel cuore dell’Europa, continente abituato ormai ad un lungo periodo di pace e prosperità, sebbene intervallato dalla guerra nell’ex Jugoslavia, dalla crisi economico-finanziaria del 2008 e dalla pandemia da Covid-19. Ma cosa si cela dietro alla decisione della Russia di invadere uno Stato sovrano? Che “colpe” ha l’Occidente in questo conflitto? Che tipologia di stato-nazione è l’Ucraina e quanto il suo carattere multietnico può aver influenzato lo scoppio di una guerra?
Esistono più risposte a queste domande che dipendono dalla prospettiva dalla quale si osserva la vicenda. Quanto accaduto in Ucraina negli ultimi trent’anni è molto complesso. Soltanto la storia potrà fare luce sui controversi eventi che si sono succeduti vorticosamente. Il tutto però gira attorno a tre concetti fondamentali: la sovranità limitata, il fallimento dello stato nazione e l’oscillazione della politica tra l’Occidente e la Russia. Questo articolo si pone l’obiettivo di dimostrare la complessità, e per certi versi l’ambiguità, della questione ucraina, che non si presta a semplicistiche semplificazioni.
Un paese a sovranità limitata
In seguito alla dissoluzione dell’URSS, avvenuta nel 1991, l’Ucraina diventa uno Stato indipendente. Crocevia di culture, popoli, civiltà e tradizioni, è la porta che apre da una parte all’Europa occidentale e dall’altra all’Asia centrale. Inoltre, è proprio dall’Ucraina che passano i gasdotti che riforniscono i principali paesi europei. Per questi motivi nel corso della sua breve esperienza di indipendenza questo Stato dell’Est Europa è stato un caso emblematico di democrazia a sovranità limitata per via della sua posizione geopoliticamente e geoeconomicamente strategica.
Sia gli occidentali – americani ed europei – che i russi hanno fin da subito cercato di influenzarne le scelte e le decisioni, sia in politica interna che in politica estera, per motivi diversi ma con lo stesso obiettivo: imporre la propria egemonia sul paese. Per gli americani, si tratta di un’egemonia militare in linea con la loro volontà di allargare la Nato ad est per “proteggere” tutti gli stati ex-sovietici da una minaccia imprecisata. Per gli europei invece, è il caso di un’egemonia commerciale allineata alla loro scelta strategica di espansione del mercato unico fatto di libertà fondamentali, moneta unica, stato di diritto, prosperità e democrazia. Infine, un’egemonia totalizzante – economica, politica e culturale – per i russi, incapaci di tollerare la fine dell’Unione Sovietica e di vedere allontanarsi un popolo fratello ed un territorio storicamente importante.
In breve, nel corso degli ultimi trent’anni, al soft power occidentale si è contrapposta un’ingerenza russa negli affari interni ucraini. Mosca ha tentato assiduamente di mantenere il paese sotto la propria sfera di influenza, mirando a creare una simil Bielorussia. Ci ha provato in tutti i modi: fornendo gas e petrolio a prezzi privilegiati, pagando buona parte del debito pubblico ucraino e creando special relationship con i presidenti filorussi. Ma nonostante tutto, non ci è riuscita. Come ultima ratio per riprendersi pezzi di Ucraina ha dovuto mettere in campo carri armati e bombe.
L’America, dall’alto della sua figura di poliziotto del Mondo, ha cercato a più riprese a fare entrare l’Ucraina nella Nato. Ma non ha calcolato bene i rischi di tale azione militare. Per comprendere meglio la questione, occorre fare una piccola digressione. Non è chiaro se l’allargamento della Nato ad est è stato una causa o una conseguenza della (potenziale) aggressività russa. In altri termini, non si capisce se l’allargamento è stato effettuato per protegge i paesi orientali da eventuali attacchi – e quindi doveva funzionare da deterrente come le armi atomiche nella guerra fredda – o è parte di uno schema più grande, atto a preparare un attacco finale alla Russia (entità che ha semplicemente l’Unione Sovietica mantenendo intatto però il carattere autoritario). Se vale il principio secondo il quale più le nazioni sono armate e possiedono armi di distruzione di massa più la guerra diventa utopica, si potrebbe considerare giusto l’allargamento. Ma se l’allargamento ha l’obiettivo di infastidire, impaurire e debilitare la Russia – perchè considerato il nemico numero uno dopo la Cina – sarebbe da considerare sbagliato, e potrebbe determinare l’effetto opposto. Inoltre, gli USA sono responsabili di altri grandi errori: finanziare il golpe nel 2014 e istruire ed armare milizie paramilitari neo-naziste per combattere nel Donbass.
E l’Unione Europea? Gigante economico ma nano politico e militare ha promosso, per interessi commerciali, la creazione di un’area di libero scambio con l’Ucraina, preludio di una futura adesione all’Unione. Di per sè entità promotrice di pace non ha gravi colpe, se non quella di aver voluto dimostrare a tutti i costi al presidente russo che la democrazia può funzionare anche per il popolo slavo.
Uno stato-nazione fallito?
La contrapposizione tra Est ed Ovest, che ricorda vagamente la Guerra fredda, è probabilmente frutto della fisionomia etnico-linguistica, culturale e religiosa del popolo ucraino sostanzialmente diviso a metà: gli ucrainofoni presenti nella parte nord occidentale del paese – in parte cattolici, molto più inclini ad occidentalizzarsi e aperti ad una progressiva europeizzazione dell’Ucraina – e i russofoni che abitano principalmente i territori a sud-est – ortodossi, molto più vicini alla Madre Patria russa e volenterosi di ricongiungersi un giorno ad essa.
In particolare, nel 2012, la presenza massiccia di minoranze etniche russe nel paese aveva condotto il Presidente filorusso Viktor Janukovič ad seguire una particolare politica linguistica introducendo il concetto di “lingua regionale”. Ai sensi della legislazione, nelle aree del paese dove è presente una minoranza superiore al 10% che parla una lingua diversa dall’ucraino, la lingua regionale/locale gode di un status pari alla lingua ucraina e può venire usata come lingua veicolare nelle scuole e negli organi amministrativi locali. Questa scelta, seppur legittima, ha però creato un’ulteriore profonda frattura nel paese portando diverse regioni a disconoscere la lingua ucraina: uno degli elementi fondativi di una nazione attraverso il quale si costruisce l’identità individuale e collettiva.
Dunque, proprio il carattere multinazionale, multiconfessionale e multilinguistico ha portato l’Ucraina ad essere concepita come uno stato-nazione fallito, assimilabile in questo all’Iraq, alla Siria (difficile coesistenza tra sciiti e sunniti) o all’Irlanda (guerra civile tra cattolici e protestanti). Siamo quindi di fronte ad un paese diviso a metà. La popolazione ha convissuto pacificamente, ma ogni fazione ha cercato attraverso la politica e le elezioni di prendere a più riprese il sopravvento sull’altra. É difficile dare un giudizio univoco e capire chi si trova dalla giusta parte, se gli ucraini o i filorussi. La problematica in questo caso risiede ancora una volta nel concetto di stato-nazione e di nation building.
Potrebbe trattarsi di un concetto anacronistico ma sembra che, per esistere, uno stato debba coincidere con una nazione, ovvero un popolo, che possiede una lingua, una cultura, una storia ed un etnia comuni. Secondo questi canoni la nazione ucraina non esiste. Per gli ucraini la loro nazione deve parlare ucraino e deve avere una storia, un mito fondativo che parte dal IX secolo con il Rus’ di Kiev e, dopo l’interruzione dell’URSS, prosegue con l’indipendenza. Per i russofoni è quasi il contrario: la nazione ucraina deve parlare il russo è la sua storia è indissolubilmente legata, prima all’Unione Sovietica e poi, alla Russia. Da quanto appena detto si comprende sia la decisione di Janukovyč di introdurre la lingua regionale e di esaltare il passato sovietico che la scelta antitetica di Porošenko di cancellare le lingue regionali e di smantellare ogni riferimento al comunismo e all’Unione Sovietica.
In un paese democraticamente più maturo la questione sarebbe stata risolta con il concetto di “autonomia”. L’Italia, ad esempio, prevede la tutela delle minoranze linguistiche ed ha concesso lo statuto speciale a cinque regioni particolari. In tre di queste si parla con ricorrenza il francese (Valle d’Aosta), il tedesco (Trentino Alto Adige) e lo sloveno (Friuli Venezia Giulia). Lo stesso ha fatto la Spagna con le Comunità Autonome. In Catalogna, nei Paesi Baschi ed in Galizia si parla rispettivamente il Catalano, il Basco ed il Galiziano. L’articolo 3 comma 3 della Costituzione spagnola parla addirittura di ricchezza del pluralismo linguistico e di patrimonio culturale del multilinguismo. All’articolo 3 comma 1 però viene sancito un principio fondamentale: “il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla”. Dovere di conoscerla – è questo il nodo cruciale. Purtroppo, in Ucraina i giovani appartenenti alle minoranze di etnia russa non hanno avuto la possibilità di studiare l’ucraino e questo li ha portati ad avere grandi problemi una volta entrati nel mondo del lavoro.
Politica: tra l’Occidente e la Russia
Gli stessi governi, più o meno democratici, che si sono succeduti nel corso del tempo hanno avuto posizioni ben marcate, riflesso delle forze centrifughe presenti sul territorio: da un lato vi sono stati governi di chiara matrice occidentale – europeisti ed in qualche modo atlantisti -, dall’altra vi sono stati degli esecutivi filorussi più in sintonia con Mosca. I primi promettevano al proprio elettorato l’adesione all’Unione Europea, la lotta alla corruzione, il rafforzamento della democrazia e la promozione dei diritti umani. Dall’altro lato, i secondi optavano perlopiù per lo status quo: allineamento a Mosca, involuzione autocratica, repressione del dissenso interno e degli oppositori politici e poco interesse per i diritti. Non è un caso che proprio sotto due presidenze filorusse siano scoppiate le due più importanti rivoluzioni dell’Ucraina contemporanea: la Rivoluzione arancione ed Euromaidan. Anche se alcuni analisti sostengono che siano state finemente orchestrate dall’Occidente in preda al suo bisogno impetuoso di esportare – in questo caso consolidare – la democrazia. La prima sommossa popolare è nata per denunciare i brogli elettorali che avevano portato all’elezione del Presidente filorusso Viktor Janukovyč. La seconda è stata un’ondata democratica, partita da Piazza Maidan e diffusasi nell’intera Ucraina, che ha avuto come casus belli la scelta dell’allora Presidente Viktor Janukovyč di arrestare l’accordo di associazione (una procedura di preadesione) all’Unione Europea ed il relativo accordo commerciale di libero scambio per ritornare a condurre affari commerciali con il Cremlino.
Euromaidan è stato un evento controverso ed ambiguo. Da molti è stato interpretato come un grande esercizio di democrazia – simile alle Primavere Arabe – dove il popolo è sceso in piazza per opporsi ad un governo di despoti corrotti. Altri, lo hanno interpretato come un vero e proprio colpo di stato neo-nazista e russofobo, organizzato segretamente dalla CIA, per destituire il filorusso Janukovyč. Ai posteri l’ardua sentenza. Senza dubbio, tra i manifestanti si sono insinuati personaggi mossi da ideologie neo-naziste, estremiste di destra, ultra-nazionaliste, russofobe – come il Battaglione Azov – che hanno preso parte ad atti violenti e deplorevoli come il Massacro di Odessa. Ciononostante, occorre ammettere che la maggioranza dei dimostranti erano pacifici ed erano mossi un lieve sentimento patriottico e nazionalista.
Mentre l’Ucraina era sull’orlo di una guerra civile, come da copione, Janukovič viene sostituito da un Presidente nazionalista, filo occidentale ed europeista – Petro Porošenko. L’agenda politica di Porošenko è molto chiara: progressivo allontanamento dalla sfera di influenza russa e svolta occidentale, adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e alla Nato, politica linguistica orientata a rinvigorire lo status di primazia della lingua ucraina e cancellazione delle autonomie alle minoranze russofone. Inoltre da inizio ad un processo di cancellazione della storia comunista dal paese. Lo scontro intestino e le ostilità tra ucraini e russi si acuiscono. Forse per paura o forse per opportunità, intere regioni filorusse iniziano ad rivendicare maggiore autonomia, addirittura l’indipendenza dall’Ucraina. Con un blitz militare Putin invade la Crimea e la annette alla Federazione russa. In seguito, egli convoca un referendum per sancire l’effettiva unione della penisola alla Russia. Il voto popolare non è stato però considerato legale dal governo ucraino. Tra l’altro, assomiglia al referendum in Catalogna, anch’esso considerato illegale e anticostituzionale dal Governo centrale di Madrid. Per rendere ancora più chiaro l’evento, facciamo questo ipotetico esempio: se la Valle d’Aosta decidesse di sua spontanea volontà di indire un referendum per annettersi alla Francia, cosa farebbe l’Italia?
Nel frattempo, nel Donbass due regioni con un rapido colpo di stato appoggiato da Mosca si autoproclamano indipendenti. Si tratta della Repubblica Popolare di Doneck e della Repubblica Popolare di Luhansk. Emulando i crimeani, anch’essi si riuniscono alla Madrepatria russa. Inizia così un conflitto a bassa intensità tra gruppi paramilitari. Una sorta di proxy war tra Occidente e Russia.
Mentre Putin continua ad ammassare truppe al confine ucraino, viene eletto alla presidenza Volodymyr Zelens’kyj: un comico ucraino di origine ebree e russofono, famoso, tra l’altro, per aver interpretato in una serie tv dal titolo “Servitore del popolo”, il ruolo di un professore di storia che decide di diventare presidente sfidando gli oligarchi ucraini. Paradossalmente, Zelens’kyj viene veramente eletto come presidente dell’Ucraina con il quadruplice obiettivo di riattivare la procedura di adesione all’UE e alla Nato, combattere la corruzione, normalizzare la grave situazione nel Donbass e riorganizzare la politica linguistica.
Conclusione
Come si è avuto modo di constare la questione ucraina è piuttosto complessa ed ed difficile dare un giudizio finale univoco, in particolare agli avvenimenti accaduti negli ultimi cinque anni. A rendere ancora più intricata la faccenda sono gli eventi che stanno accadendo proprio in questi giorni. In effetti, siamo di fronte ad un ongoing process che per antonomasia è difficile da definire proprio perchè è in continua evoluzione. Saranno gli sviluppi futuri della guerra russo-ucraina a permetterci di dare retrospettivamente una lettura oggettiva alla polveriera ucraina. Ricordandoci però che la storia viene scritta dai vincitori.