Bruxelles – Dieci anni. Sono quelli che hanno impiegato gli Stati membri a trovare un punto di incontro ieri (14 marzo) in occasione del Consiglio dell’Occupazione e degli affari sociali per avviare i negoziati con l’Europarlamento per portare le società quotate dell’UE a nominare entro il 2027 almeno il 40 per cento di donne tra gli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33 per cento di tutti i ruoli nei consigli di amministrazione.
Un piccolo traguardo per fare avanzare una proposta in stallo al Consiglio da un decennio. La Commissione UE ha proposto nel 2012 la direttiva ‘Donne nei consigli di amministrazione” per introdurre una procedura aperta e trasparente per raggiungere un minimo di 40 per cento delle donne nei consigli non esecutivi delle società quotate: era stata la commissaria europea alla Giustizia di allora Viviane Reding, lussemburghese, ad avanzare la proposta e a indicare il 2020 come termine ultimo per applicarla.
In realtà, la direttiva si è bloccata da dieci anni avendo incontrato l’opposizione di una minoranza di Stati membri in Consiglio dell’UE che si sono rifiutati di adottare l’obiettivo come legge. Tra questi anche la Germania della prima cancelliera donna Angela Merkel e alcuni Stati nordici e baltici. Già a gennaio la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, prima donna presidente dell’esecutivo europeo, ha visto nella presidenza francese la giusta occasione per rilanciare un dibattito necessario, complice il nuovo governo nella sua Germania e complice il femminismo promosso dal presidente francese Emmanuel Macron nel suo discorso di presentazione all’Europarlamento.
Von der Leyen non ha avuto torto e oggi se ne compiace. “Con la nostra proposta vogliamo rompere il soffitto di vetro che impedisce alle donne di talento di accedere ai consigli di amministrazione”, festeggia in un tweet. “E sappiamo che la legislazione funziona. Attendo ora con impazienza la rapida adozione della nostra proposta. Così i sogni di donne come Simone Veil (la prima presidente eletta del Parlamento Europeo, ndr) possono finalmente avverarsi”. La proposta di legge intende applicarsi alle società quotate o con almeno 250 dipendenti, secondo varie stime andrebbe a toccare quindi 2.300 aziende nell’UE.
I ministri al Consiglio in una dichiarazione congiunta hanno ammesso che in tutti questi anni di stallo ci sono stati progressi per la parità di genere nei consigli di amministrazione delle società, ma questi progressi rimangono irregolari. A ottobre 2021 si stimava che solo il 30,6 per cento dei membri del consiglio e solo l’8,5 per cento dei presidenti del consiglio erano donne. Resta forte la debolezza di questa proposta nell’assenza di sanzioni vere e proprie per il mancato raggiungimento degli obiettivi da parte degli Stati membri. Una minoranza di Paesi membri, tra cui la Francia, ha già adottato una serie di misure a livello nazionale per ottenere una rappresentanza più equilibrata di donne e uomini e quindi potrebbero sospendere i requisiti della direttiva, in caso di via libera definitivo da parte dei due co-legislatori.
“L’accordo odierno in seno al Consiglio rappresenta un importante passo avanti. Chiedo un rapido avvio dei negoziati con il Parlamento europeo in vista dell’adozione definitiva di questa direttiva, che aiuterà ad affrontare il soffitto di vetro con cui le donne si trovano ancora troppo spesso nel mondo del lavoro”, il commento di Élisabeth Borne, ministro francese del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione economica, che ieri ha presieduto l’incontro in quanto presidente di turno. Per ora il Consiglio non ha fatto sapere quando intende avviare i negoziati con l’Europarlamento.