L’Occidente, compatto, ha varato ieri il primo pacchetto di sanzioni contro la Russia come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina. È stato un importante momento di unità, un messaggio forte contro l’uomo forte di Mosca, che a qualcuno costa anche tanto, come alla Germania che ha rinunciato a mettere in funzione il gasdotto Nord Stream 2.
Il pacchetto di sanzioni è pesante, ed è solo una prima razione, ne seguiranno altre, che saranno cadenzate dalla eventuale escalation militare della Russia.
Però non saranno un deterrente, e dunque rischiano di essere inutilmente penalizzanti per l’economia europea e per i cittadini russi, vittime delle mire espansionistiche del loro presidente.
Non saranno un deterrente perché dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall’Italia, si è già detto fino a dove potranno arrivare, si è detto qual è la linea rossa oltre la quale le potenze europee non andranno, e dunque Vladimir Putin sa bene, già dall’inizio della sua campagna di invasione, qual è il prezzo che dovrà pagare, e può dunque considerare, con grande precisione, i pro e i contro della sua azione.
È una tesi che sosteniamo da tempo, nella quale ci sentiamo rafforzati dalle parole di Ian Bond, direttore per la politica estera del Centre for European Reform, ed ex diplomatico britannico. Lo studioso sul Guardian scrive che “la deterrenza sarà impossibile […] se i leader continueranno a dire a Putin cosa non sono disposti a fare, o se aumenteranno la pressione su di lui così lentamente che potrà sempre adattarsi”. E gli esempi sono lì, in chiaro, davanti a tutti noi: il presidente statunitense, Joe Biden, ha annunciato che non invierà i suoi militari a combattere in Ucraina (così come hanno chiarito di non voler fare gli alleati); la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha espresso riserve sul taglio della Russia dal sistema di pagamenti globali Swift; il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha chiesto che le sanzioni non colpiscano le importazioni di gas dalla Russia; l’UE, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno già indicato che è improbabile che il riconoscimento delle “repubbliche popolari” e il successivo dispiegamento di truppe russe nei confini ucraini inneschi sanzioni economiche su vasta scala.
Che l’Occidente voglia usare una “proporzionalità” nella sua risposta è comprensibile, è anche giusto se serve ad evitare scontri a fuoco tra eserciti, ma scoprire le proprie armi è una posizione negoziale ovviamente perdente, soprattutto nei confronti di un’uomo che non si è mai fatto problemi nel mandare a morire decine di migliaia di soldati, ad esempio, in Cecenia.
E l’Ucraina è un obiettivo probabilmente più importante della tenuta della Cecenia, e dunque Putin è pronto a spendere fiumi di soldi per finanziare l’invasione e a sopportare anche notevoli perdite umane. Tutto questo nonostante la Russia sia un Paese “povero”, con un PIL simile a quello spagnolo (notevolmente più basso di quello italiano) ma con ben oltre il triplo degli abitanti, in un territorio straordinariamente più grande, e un’operazione militare del genere significherebbe imporre ai propri cittadini straordinari sacrifici, anche se probabilmente non condivisi.
In un discutibile tweet di ieri sera (poi cancellato) l’alto rappresentante UE per la politiche Estera, Josep Borrell, ha spiegato che grazie a queste prime sanzioni gli oligarchi amici di Putin (ma quanti ne sono rimasti?) non potranno più andare per negozi a Milano o a comprare diamanti ad Anversa. Probabilmente Putin ha già perso l’appoggio di tante di queste persone, e di certo non sono gli approvvigionamenti di vestiti alla moda che lo preoccupano. Forse si soffermerebbe un momento di più a riflettere se capisse che continuando l’invasione non venderà più gas e che si troverà di fronte i carri armati delle nazioni NATO, e non i deboli mezzi che ha il pur coraggioso esercito ucraino.