Bruxelles – Donne e scienza, in Italia un binomio quasi impossibile. Il Paese è ultimo a livello UE per partecipazione lavorativa attiva di personale femminile nel settore ingegneristico e scientifico. Appena tre addetti su dieci sono ‘rosa’. I dati Eurostat monitorano la situazione a livello regionale e macro-regionale, e il dato tricolore indica ritardi rispetto al resto d’Europa. Se ci sono Stati con regioni dagli indici inferiori a quelli italiani, questo è vero solo per alcune regioni. Nel caso nazionale è l’interno Stivale a risultare povero di donne attive nel mondo scientifico e ingegneristico.
In tutta Italia, alla fine del 2020, si contavano oltre 1,1 milioni di ingegneri, ricercatori scientifici, professori attivi nel settore. Di questi 764.800 sono maschi, e 399.600 femmine. Un aumento in termini assoluti che non premia la parità di genere, al contrario la penalizza. Tra il 2019 e il 2020 si contano 6.200 nuovi arrivi maschili nel mondo del lavoro, a fronte di un aumento dei scienziate e ingegnere pari 800 unità. Il numero degli addetti del settore dunque aumenta, ma in modo sproporzionato, tanto che il tasso di presenza femminile resta fermo tra il 30 per cento e il 35 per cento.
Sia pur in modo diseguale, la tendenza italiana risponde a quella generale. A livello UE nel 2020 c’erano quasi 6,6 milioni di scienziate e ingegneri, 254.500 in più rispetto al 2019, pari al 41% dell’occupazione totale nel settore della scienza e dell’ingegneria. Guardando la mappa che misura il grado di donne e scienza c’è una situazione di sostanziale parità di genere, specie in Svezia, Lituania, Spagna, Danimarca e Polonia. In Italia c’è ancora molto da fare.