Bruxelles – Maastricht, Paesi Bassi. E’ nella città-simbolo olandese che il 7 febbraio del 1992 i dodici Paesi membri dell’allora comunità europea (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna) si incontrarono per firmare il trattato che avrebbe dato vita all’Unione Europea come la conosciamo oggi, dando alle comunità economiche europee esistenti (CEE, CECA ed Euratom) una dimensione per la prima volta politica. A firmare per conto dell’Italia furono l’allora ministro degli Esteri Gianni De Michelis e il ministro del Tesoro, Guido Carli, nel settimo governo a guida Giulio Andreotti.
Tre pilastri e cinque parametri per la moneta unica
252 articoli, 17 protocolli e 31 dichiarazioni: il trattato di Maastricht, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel luglio 1992 ed entrato in vigore il primo novembre del 1993 – evoca l’immagine di una nuova Unione che poggia su tre pilastri: il primo è quello della Comunità europea, risultante dalle tre precedenti istituzioni, la comunità economica europea (CEE), la comunità europea del carbone dell’acciaio (CECA) e la comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Gli altri due pilastri sono quello della Politica estera e della sicurezza comune (PESC) e quello della giustizia e degli affari interni (CGAI). Veniva redatto anche in risposta al crollo del muro di Berlino (1989) e dal desiderio di rafforzare l’integrazione europea.
Il trattato ha iniziato a dare forma a gran parte delle istituzioni comunitarie per come le conosciamo oggi, un processo portato a compimento con il successivo Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009. Fu istituito per esempio il Consiglio europeo, che riunisce i rappresentanti di tutti i governi membri che fino ad allora si riunivano solo in maniera informale. Furono precisati e ampliati anche i poteri del Parlamento Europeo e per la prima volta il sistema europeo delle banche centrali, uno dei passaggi principali per arrivare alla moneta comune, l’euro che inizierà a circolare dal primo gennaio 2002.
Proprio per preparare il terreno per l’arrivo dell’euro, il trattato ha stabilito cinque vincoli al bilancio pubblico – chiamati criteri di convergenza – che in sostanza gli Stati membri avrebbero dovuto rispettare per poter accedere alla terza fase (l’ultima) prima dell’appuntamento della moneta unica: il tasso di cambio delle varie monete doveva rimanere stabile e intorno a un certo valore (2,25 per cento); inflazione non superiore all’1,5 per cento della media dei tre Stati con l’inflazione più bassa; deficit di bilancio inferiore al 3 per cento del Prodotto interno lordo; debito pubblico inferiore al 60 per cento del PIL; tasso di interesse a lungo termine non superiore al 2 per cento in più rispetto a quello dei tre Paesi con il più basso tasso di inflazione.
Maastricht affronta per la prima volta in modo sistematico anche il problema delle competenze dell’Unione Europea, innovando i precedenti Trattati di Roma del 1957. L’Unione inizia a penetrare con le competenze concorrenti e il principio di sussidiarietà nella politica di ricerca e di sviluppo tecnologico, nell’ambiente e l’industria, nel commercio estero e nell’educazione e alla formazione professionale, alla cultura, alla protezione dei consumatori, alla sanità e alla politica sociale interna.
I valori su cui si basava il trattato “si applicano ancora oggi: sicurezza, giustizia, diritti umani, democrazia, stato di diritto e libertà fondamentali”, commenta la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. “Questo è ciò che l’UE rappresenta. Continueremo ad amarli e a costruire su di loro, ora e negli anni a venire”. A Bruxelles il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, saluta i trent’anni del trattato come “una storia di successo”. Auspicano che ci siano “nuovi capitoli da scrivere insieme”.
Trent’anni fa i trattati di #Maastricht. Una storia di successo. Nuovi capitoli da scrivere insieme pic.twitter.com/uBw802M3nr
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) February 7, 2022
Così anche la commissaria all’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, che in un tweet ricorda che da allora l’UE può contare su 440 milioni di cittadini provenienti da 27 paesi, uniti nella nostra dedizione alla democrazia, alla pace e alla giustizia”. Uno sguardo al passato e uno al futuro “Al prossimo decennio verso un futuro sostenibile e inclusivo”.