Bruxelles – Il rischio è noto, ma ora è arrivato anche lo studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) a certificarlo. I sistemi di intelligenza artificiale utilizzati dalle piattaforme di lavoro della gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo) possono approfondire ulteriormente le discriminazioni di genere tra lavoratori e lavoratrici già presenti nell’attuale sistema socio-economico.
“Gli algoritmi possono replicare i pregiudizi e la discriminazione del mondo reale“, avverte il rapporto dell’EIGE, dal momento in cui “possono essere addestrati con dati distorti per perpetuare pratiche di assunzione discriminatorie”. In questo modo, dai rider (fattorini addetti alla consegna a domicilio) agli autisti di società di ride-hailing (come Uber), “i curriculum delle donne possono essere automaticamente scartati perché il loro profilo non corrisponde a quello delle persone che sono state assunte prima”. Vale a dire, uomini.
Non basta solo la protezione dei diritti lavorativi nella gig economy – come sta cercando di fare la Commissione UE con le misure per migliorare le condizioni di lavoro nelle piattaforme digitali – ma è necessario affrontare le discriminazioni determinate dal bias di genere (distorsione della valutazione causata dal pregiudizio). Una necessità da tenere presente anche nel quadro legislativo sull’intelligenza artificiale, su cui già si è espressa la vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager. A farle eco è stata la direttrice dell’EIGE, Carlien Scheele: “Questa è la nostra opportunità per modificare i vecchi stereotipi, il sessismo e la discriminazione del mercato del lavoro, e per creare una realtà moderna che serva le esigenze sia delle donne che degli uomini”.
C’è da tenere presente che la gig economy ha il potenziale per abbattere le discriminazioni di genere, dal momento in cui “rispetto al mercato del lavoro tradizionale c’è una quota maggiore di uomini impiegata in lavori solitamente svolti da donne”, come quelli amministrativi (53), domestici (46 per cento) e la cura dei bambini (39). Tuttavia, nonostante questo possa aiutare a sfidare gli stereotipi sul tipo di lavoro svolto da donne e uomini, l’indagine EIGE mostra anche che “le lavoratrici altamente istruite sono più propense ad accettare lavori che non corrispondono al loro livello di istruzione”. Inoltre, nell’ambito dell’intelligenza artificiale, le donne rappresentano solo 16 per cento della forza lavoro nell’UE e nel Regno Unito, quota che si riduce al 12 per cento con l’avanzamento di carriera oltre i 10 anni di esperienza.
Dei 5 mila lavoratori delle piattaforme intervistati dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, un numero maggiore di donne ha testimoniato di svolgere un lavoro della gig economy perché teoricamente più combinabile con le faccende domestiche e gli impegni familiari. Una flessibilità che però nella pratica si traduce in lavoro notturno, durante il fine settimana o in orari non scelti autonomamente. Per quanto riguarda le nuove legislazioni dell’UE, “l’impegno di formare più specialisti nell’intelligenza artificiale, specialmente donne e persone con diversi background, è un segno positivo”, si legge nel rapporto. A supporto di Bruxelles e degli Stati membri UE, l’EIGE ha messo a disposizione un kit di strumenti per la valutazione dell’impatto di genere