Bruxelles – Un nuovo slancio per recuperare i “notevoli ritardi” dei Paesi membri UE nel dispiegamento delle reti 5G. È questo il responso della relazione speciale pubblicata oggi (lunedì 24 gennaio) dalla Corte dei Conti europea sull’introduzione della quinta generazione dei sistemi di telecomunicazione sul territorio comunitario. Meno della metà degli Stati UE presenta un’alta probabilità di raggiungere gli obiettivi fissati al 2025 sulla copertura delle aree urbane e degli assi di trasporto: tra i virtuosi però c’è anche l’Italia.
Rispetto alle reti 3G e 4G, il nuovo standard globale per le comunicazioni senza fili offre maggiori capacità e velocità di trasmissione dei dati: fornisce connettività universale a banda larga superveloce e a bassa latenza per i singoli utenti e per gli oggetti connessi. L’importanza del 5G risiede in particolare nella connessione all’Internet delle cose (Internet of things), vale a dire tutti i dispositivi interconnessi che possono essere controllati da remoto, dagli smartphone alle macchinette del caffè e i frigoriferi: a livello globale si stima che il loro numero crescerà fino a 50 miliardi entro il 2030 (dai 22 di fine 2018), con un consumo di dati pari a 5 mila exabyte (5 mila miliardi di gigabyte). Inoltre, lo sviluppo delle reti 5G potrebbe far aumentare il prodotto interno lordo nell’UE tra il 2021 e il 2025 fino a mille miliardi di euro, portando alla creazione o alla trasformazione di 20 milioni di nuovi posti di lavoro.
Tra le preoccupazioni maggiori sul dispiegamento del 5G sul territorio UE non c’è solo la questione della sicurezza delle reti e delle apparecchiature di fronte ai sempre più frequenti attacchi informatici, ma anche il raggiungimento degli obiettivi posti dalla Commissione Europea in termini di accesso e copertura. Nel piano d’azione del 2016 l’esecutivo comunitario aveva fissato al 2025 il termine ultimo per il dispiegamento del 5G in tutte le aree urbane e nei principali assi di trasporto, mentre con la Bussola Digitale 2030 dello scorso anno ha posto l’obiettivo di portare a compimento la copertura di tutto il territorio dell’Unione entro la fine del decennio.
Tuttavia, la Corte dei Conti europea ha rilevato che la Commissione non ha definito “in modo chiaro” la qualità dei servizi 5G e questo fattore potrebbe portare a disuguaglianze nell’accesso e nella qualità dei servizi, ampliando ulteriormente il divario digitale tra Paesi membri. “Nell’UE verranno spesi fino a 400 miliardi di euro entro il 2025 per sviluppare reti 5G a sostegno della crescita economica e della competitività future”, ha fatto notare la responsabile della relazione, Annemie Turtelboom. “Ma poiché molti Stati membri sono rimasti indietro, l’Unione è ancora lontana dal cogliere i benefici offerti dal 5G“, ha aggiunto. A questo si aggiunge il fatto che “gli approcci seguiti dagli Stati membri in materia di sicurezza del 5G restano questioni di importanza strategica per la sovranità tecnologica dell’UE e per il Mercato Unico”.
Fatta eccezione per Cipro, Lituania, Malta e Portogallo, tutti i Paesi membri UE hanno raggiunto l’obiettivo intermedio del 2020 di avere almeno una grande città con accesso al 5G. Passando alle considerazioni sui traguardi del 2025, la maggior parte è però rimasta indietro con il dispiegamento delle reti. Tra i Ventisette, solo 11 presentano “alta probabilità” di raggiungere tali obiettivi: Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Per altri 11 Stati membri la probabilità è media (Austria, Estonia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovenia) e per i restanti cinque è bassa (Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro e Grecia).
Per l’ambiziosa Bussola Digitale 2030 la strada è ancora più in salita. All’inizio del quarto trimestre del 2021, 23 Stati membri (tra cui l’Italia, che ha approvato il decreto di attuazione il 4 novembre) non avevano ancora recepito la direttiva UE sulle comunicazioni elettroniche, che fissa termini ultimi per l’assegnazione delle bande pioniere per il 5G. “Con l’attuale ritmo di attuazione è molto probabile che gli obiettivi fissati dall’UE per questo decennio non verranno raggiunti“, si legge nella relazione.
Ci sono poi da affrontare le questioni sulla sicurezza delle reti e dei prodotti. Se è vero che i fornitori di servizi 5G che hanno sede in un Paese membro UE sono tenuti a rispettare le norme e gli obblighi giuridici dell’Unione, non si può dimenticare che sei degli otto maggiori fornitori sviluppano i propri servizi fuori dal territorio comunitario, dove la legislazione può essere molto diversa in termini di protezione dei dati personali: Huawei e ZTE in Cina, Samsung in Corea del Sud, Sharp e LG Electronics in Giappone, Qualcomm negli Stati Uniti. Solo Ericsson e Nokia hanno sede nell’UE e presentano quote di brevetti 5G pari al 17,8 per cento del totale (4,6 e 13,2 rispettivamente).
A gennaio del 2020 la Commissione ha adottato il pacchetto di strumenti sulla cibersicurezza del 5G, ma la Corte dei Conti europea spiega che “era già troppo tardi per alcuni gestori di reti mobili che avevano già scelto i propri fornitori”. Nonostante si tratti di una questione transfrontaliera, sono poche le informazioni disponibili sul modo in cui i Ventisette affrontano la gestione dei fornitori ad alto rischio, rendendo più complesso un approccio coordinato a livello europeo. Nella pratica, “gli Stati membri UE seguono approcci divergenti sull’utilizzo di apparecchiature di fornitori specifici o sulle restrizioni imposte ai venditori ad alto rischio”, sottolinea la relazione, e solo la metà ha introdotto nella propria legislazione nazionale leggi che che consentono di escludere dalle rispettive reti apparecchiature di fornitori ad alto rischio. Per quanto riguarda l’Italia, grazie alla legge sui poteri speciali in materia di strutture societarie nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, il governo può monitorare lo sviluppo 5G quando un gestore di reti mobili utilizza sistemi e servizi acquisiti da fornitori extra-UE.
Le problematiche sono di natura economica, ma anche di sicurezza sul lungo periodo. Se i governi dei Ventisette dovessero escludere i fornitori ad alto rischio dalle proprie reti senza un periodo di transizione, si potrebbe andare incontro a elevati costi di sostituzione: ma ancora non è chiaro se le eventuali compensazioni possano essere considerate aiuti di Stato e se siano conformi al diritto UE sulla concorrenza. Allo stesso tempo, la Corte avverte anche che “la Commissione non ha valutato il potenziale impatto dello scenario in cui uno Stato membro costruisca le proprie reti 5G utilizzando apparecchiature di un fornitore considerato ad alto rischio in un altro Stato membro”. Uno scenario che, secondo la Corte, “potrebbe incidere sulla sicurezza transfrontaliera e persino sul funzionamento dello stesso Mercato Unico dell’UE”.