Bruxelles – Scarsa chiarezza, debolezza nella pianificazione e nella selezione dei progetti. Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare l’azione congiunta di Stati membri e Unione Europea sull’efficienza energetica delle imprese nell’UE. A queste conclusioni giunge l’ultima relazione speciale della Corte dei Conti europea ‘L’efficienza energetica nelle imprese’ pubblicata oggi (17 gennaio), osservando che i fondi europei mobilitati a questo scopo “non sono ancora sufficientemente collegati ai bisogni delle imprese”, è difficile stabilirne l’effettiva efficacia ma soprattutto contribuiscono in maniera “modesta” agli obiettivi dell’UE in materia di efficienza energetica.
“Migliorare le prestazioni energetiche delle imprese”, riducendone i consumi, “qualunque sia il settore in cui esse operano, è cruciale se l’UE vuole conseguire il proprio obiettivo di ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030”, spiega Samo Jereb, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “Finora, però, il vero effetto dei finanziamenti dell’UE sull’efficienza energetica delle imprese rimane non chiaro”, aggiunge. Non chiaro perché per la Corte di Lussemburgo è stato difficile capire quale sia il reale contributo dei fondi europei all’efficienza delle imprese.
Migliorare l’efficienza contribuisce a ridurre “l’intensità” energetica dell’economia: nel quadro del pacchetto climatico ‘Fit for 55’ la Commissione UE propone di portare al 36 per cento l’obiettivo di riduzione del consumo finale di energia dell’UE entro il 2030 (l’obiettivo attuale è del 32,5). Gli Stati hanno autonomia nel definire i propri obiettivi nazionali che contribuiscono a quello complessivo europeo, coinvolgendo anche il tessuto imprenditoriale: a livello europeo, però, manca una valutazione del potenziale di miglioramento delle imprese in termini di efficienza, sul loro fabbisogno di finanziamenti e i programmi – osserva ancora la Corte – non specificano in che modi i fondi contribuiscano alle priorità in tema di efficienza energetica.
Parallelamente alle misure messe in atto dagli Stati membri, tra il 2014 e il 2020 l’UE ha mobilitato verso questo obiettivo circa 2,4 miliardi di euro attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione, che hanno una specifica priorità di investimento dedicata a sostenere il miglioramento dell’efficienza nelle imprese. L’analisi della Corte si è concentrata in particolare sui fondi di coesione, osservando che la maggior parte delle risorse si è condensata in soli 5 Stati membri (Repubblica ceca, Polonia, Germania, Italia e Bulgaria che hanno raccolto il 64 per cento delle risorse) e che il sostegno a questa area è diminuito negli ultimi anni: da una dotazione complessiva fissata in 3,2 miliardi di euro nel 2016 a 2,4 miliardi di euro nel 2020.
La Corte si è chiesta se i fondi siano stati spesi in modo proficuo per lo specifico obiettivo di migliorare l’efficienza delle imprese, studiando un campione di 12mila progetti classificati come di efficientamento energetico in 22 Stati membri. Per i revisori di Lussemburgo la spesa pianificata non è stata ben integrata nella strategia dell’UE per l’efficienza energetica e soprattutto alcuni progetti (circa il 18 per cento di quelli valutati) pur rientrando tra le “azioni di efficientamento energetico” in realtà non lo erano. La relazione solleva dubbi sull’effettivo valore aggiunto dei finanziamenti dell’UE, sostenendo che “nella maggior parte dei casi, gli investimenti che hanno ricevuto finanziamenti erano stati già pianificati” e quindi in sostanza la maggior parte dei progetti sarebbe andata avanti anche senza il sostegno dell’UE.
Il fatto che gli Stati membri abbiano criteri e indicatori diversi sull’efficienza rende più difficile stabilire il contribuito effettivo dei fondi europei. La Corte stima però che questo contributo agli obiettivi dell’UE sia “modesto”, valutando che i potenziali risparmi generati dai progetti cofinanziati nelle imprese ammontano approssimativamente allo 0,3 per cento dello sforzo necessario per conseguire i valori-obiettivo di efficienza energetica dell’UE per il 2030 (ovvero la riduzione del consumo finale di energia del 36 per cento). La Corte raccomanda quindi alla Commissione Europea di valutare quale possa essere il contributo potenziale ed effettivo dei fondi della politica di coesione all’efficientamento energetico e verificare se la scelta dello strumento di finanziamento sia adeguatamente giustificata nei progetti pianificati dagli Stati membri.