Roma – “Questa è l’ultima occasione in cui posso rivolgermi alla comunità degli ambasciatori”. Se qualcuno non lo avesse ancora ben chiaro, Sergio Mattarella lascia il Quirinale e solo l’imponderabile potrebbe fargli cambiare idea. Nessuno finora è riuscito a convincerlo a un secondo mandato, nonostante un pressing fortissimo al quale ha reagito ultimamente perfino con irritazione.
Sono stati sette anni impegnativi e spesso difficili, nei quali si sono alternati cinque governi che hanno conosciuto una guida costituzionale rigorosa, strumento indispensabile di fronte a maggioranza politiche tanto eterogenee quanto innovative.
Costituzione alla mano e rotta agganciata fortemente allo spirito europeo, il settennato di Mattarella ha dovuto affrontare sovranismi e populismi cresciuti e fomentati da più parti nell’ambito dell’UE, che non hanno risparmiato neppure l’Italia. Da subito, sempre con il suo approccio garbato, ha rivendicato e portato nelle molteplici occasioni istituzionali di Bruxelles, i valori e lo spirito europeo, solidaristico cooperativo, inclusivo, indicando proprio nella febbre sovranista il fenomeno da superare. E quando ha avvertito pericoli imminenti li ha fermati con decisione, come quando ha rifiutato per le sue posizioni anti euro la nomina di Paolo Savona alla carica di ministro dell’Economia del governo Lega-M5S. In quell’occasione, con il passo falso del presidente incaricato Giuseppe Conte, uscì dalla presidenza del Quirinale una dichiarazione ufficiale molto netta, in cui veniva ribadita la netta e irreversibile appartenenza del Paese all’Europa.
“Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia.
La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari”.
(Sergio Mattarella, 27 maggio 2018)
Un “gran rifiuto” che provocò le ire dell’allora capo politico dei Cinquestelle Luigi Di Maio e che fomentato da diversi esponenti leghisti minacciò contro il Presidente l’impeachment. La boutade non fece strada, la questione si risolse con la nomina dell’indipendente Giovanni Tria al ministero di via XX settembre, M5S e Lega a più miti consigli, e Savona spostato al ministero senza portafogli degli Affari europei.
La voce del Qurinale si levò anche in difesa del Paese nel marzo del 2020, in risposta al primo scivolone della presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, quando, con l’Italia in piena ondata pandemica, fece precipitare le borse europee. La sua dichiarazione tranchant “non siamo qui per ridurre gli spread”, provocò l’irritazione di Mattarella in uno scontro decisamente inedito:
“L’Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del coronavirus sarà probabilmente utile per tutti i Paesi dell’Unione Europea. Si attende quindi, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione”.
Christine Lagarde subito precisò le sue parole, tornò sui suoi passi e la solidarietà all’Italia giunse poi anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con il “siamo tutti italiani”.
I richiami di Sergio Mattarella a principi e valori di solidarietà non sono mai mancati, in modo particolare sul fronte dell’emergenza migranti dove l’Italia è da sempre particolarmente esposta. Lo ha fatto recentemente con la crisi esplosa ai confini dell’Europa orientale e anche in quest’ultima occasione del saluto alle feluche nella sede della Farnesina. Ricordando i cardini delle democrazie liberali e dello stato di diritto, ha sostenuto che questi “vanno praticati e vissuti, sia attraverso il rafforzamento del carattere irreversibilmente democratico della cittadinanza europea, sia nella gestione delle crisi di fronte alle quali si trova la UE. L’atteggiamento di ‘fortezza Europa’ che con scarso rispetto dei diritti umani alcuni manifestano, non corrisponde alle ambizioni di questa Unione europea”.
Nel suo congedo davanti agli ambasciatori ha sottolineato i passi avanti dell’Unione nel dare “risposte alla pandemia con il coordinamento sanitario, il finanziamento alla ricerca e l’acquisto di vaccini”. Poi con il Next generation EU per far fronte ai “devastanti effetti economici e sociali della crisi”.
Nel lascito in politica estera ed europea del Capo dello Stato, anche i nuovi equilibri mondiali e il ruolo dell’Unione per un maggiore protagonismo da consolidare con una politica di difesa. “USA e UE si troveranno sempre fianco a fianco”, ha detto Mattarella e la scelta di Washington di spostare gradualmente il baricentro sul pacifico “impone un’assunzione di responsabilità sempre più diretta degli europei”. In un quadro di nuovi equilibri il ruolo che l’Europa è chiamata a svolgere assume maggiore rilevanza nell’ambito dell’Alleanza Atlantica. “Lo sviluppo di una capacità di difesa da parte dell’Unione Europea – per il Presidente della Repubblica – rappresenta un tassello essenziale del necessario percorso di autonomia strategica”.
Si chiude con questi auspici il settennato mattarelliano, segnato dal primo all’ultimo giorno dal garbo e dalla sobrietà, che tuttavia non ne hanno impedito la gestione ferma dell’impianto istituzionale senza perdere di vista la tenuta del Paese anche in anni difficili. Gli ultimi due anni della pandemia sono stati forse la prova più impegnativa sotto l’aspetto dell’unità nazionale e nell’incessante appello alle responsabilità alle forze politiche, alla classe dirigente, ai cittadini. Nel ruolo di guida non ha fatto mai mancare la sua vicinanza alle vittime in occasione delle diverse tragedie che hanno sconvolto il Paese, il terremoto nel centro Italia, la valanga di Rigopiano, il crollo del ponte Morandi.
Non per caso esce di scena con una popolarità e gradimento molto elevata, con gli italiani che probabilmente lo vorrebbero al Quirinale per un altro mandato. Lui però ha deciso che così non sarà.