Bruxelles – Medicina, ingegneria, tecnologia. Sono impegnati in diverse discipline, ma al netto del loro contributo rappresentano la stessa categoria, quella dei ricercatori. Nell’UE sono tanti, sempre di più. Il numero di ricercatori a tempo pieno è aumentato negli ultimi anni. Nel 2020 erano 1,89 milioni (1.891.473) disseminati in tutti gli Stati membri, 546 mila in più rispetto al 2010. Nell’Unione europea la maggior parte dei ricercatori risulta occupato nel settore delle imprese (55%) e nel settore dell’istruzione superiore (33%), seguito dal settore pubblico (11%).
A vantare il maggior numero di ricercatori sono le principali economie dell’eurozona. Germania (451mila), Francia (321mila), Italia (161mila) e Spagna (145mila). Eurostat rileva come tra il 2010 e il 2020 il numero di ricercatori è poi “quasi raddoppiato” in Grecia e Ungheria, raggiungendo rispettivamente 41.800 e 42.000 l’anno scorso. Lo stesso è accaduto in Polonia, dove nel 2020 c’erano 124.400 di questi professionisti, vale a dire 59.900 in più rispetto al 2010.
I numeri sembrano sorridere all’UE. I ricercatori sono considerati figure chiave per lo sviluppo e l’aumento di competitività. Guardando al resto del mondo, l’Unione europea resta indietro alla Cina, che vanta 2,1 milioni di ricercatori (esclusa Hong Kong), e sembra superare gli Stati Uniti. Dall’altra parte dell’Atlantico i ricercatori erano 1,55 milioni i ricercatori (dati 2018). Nell’ultimo decennio il tasso di crescita a dodici stelle è stato superiore di quello a stelle e strisce. Il tasso di ricercatori è cresciuto del 41 per cento nell’UE, e ‘appena’ del 30 per cento negli Stati Uniti.