Bruxelles – Doveva essere un incontro per mettere fine alla discussione sulla risposta al caro energia e alla crisi dei prezzi, lasciata in sospeso all’ultimo Consiglio Europeo di ottobre. Invece il confronto tra i capi di Stato e governo – riuniti a Bruxelles all’ultimo Summit europeo del 2021 – sulla politica energetica si è concluso nella notte (tra giovedì 16 e venerdì 17 dicembre) senza un accordo, divisi (ancora) sulle cause e su come rispondere all’aumento del prezzo del gas e dell’elettricità ma anche sulle imminenti regole sugli investimenti sostenibili per quanto riguarda gas e nucleare, che la Commissione UE dovrebbe presentare la prossima settimana come atto delegato alla sua tassonomia ‘verde’.
Anche dopo quasi 5 ore di confronto, non c’è convergenza sul testo finale che riguarda l’energia e saltano quindi anche le conclusioni. “Ci siamo resi conto che c’erano opinioni diverse attorno al tavolo e non siamo stati in grado di raggiungere un accordo sulle conclusioni presentate”, ha ammesso il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sostenendo che i leader discuteranno di nuovo la questione in una futura riunione. I temi “divisivi” rimasti aperti sono il mercato europeo dell’energia, in particolare il funzionamento del sistema di scambio quote di emissioni di CO2 (ETS) e le regole per gli investimenti sostenibili.
Sul primo fronte, alcuni Stati membri come la Polonia hanno spinto di nuovo per un intervento dell’UE per limitare presunti movimenti speculativi finanziari sul mercato del carbonio, che secondo Varsavia avrebbero contribuito ad aumentare i prezzi della CO2 con conseguente impennata dei prezzi del gas. Sospetti di speculazione sul mercato anche dalla Spagna, tanto che nella serata di ieri uno dei tentativi di trovare un accordo ha visto l’inclusione nella bozza di conclusioni dell’invito alla Commissione ad “approfondire il proprio monitoraggio dell’ETS”, comprese eventuali speculazioni da parte degli intermediari finanziari. Una posizione che non è condivisa da altri Stati membri, come la Germania, ma la Commissione Europea stessa ha più volte ribadito che la crisi dei prezzi è da ricondurre solo in minima parte all’aumento dei prezzi delle quote di CO2 nell’ETS (la scorsa settimana il prezzo del carbonio in Europa è salito a un record di 90,75 euro per tonnellata).
A dividere i governi sul fronte energia c’è anche la tassonomia sul gas e nucleare, il sistema europeo di classificazione degli investimenti sostenibili. In questo caso la decisione spetta alla Commissione Europea con un atto delegato e non sta al Consiglio europeo, ma la discussione è più “politica” di quanto possa sembrare. Come era successo allo scorso vertice di ottobre, il tema è finito al centro del dibattito, anche perché si attende entro fine 2021 una proposta da parte della Commissione. Diversi Stati hanno fatto pressione sull’Esecutivo per presentare l’atto delegato in fretta. L’ultima bozza di conclusioni circolata ieri sera – l’ultimo tentativo di chiudere un accordo – menzionava proprio la necessità di presentare entro la fine del mese la decisione.
L’Esecutivo comunitario è sotto pressione dei governi e delle lobby industriali e continua a rimandare la decisione. Secondo diverse fonti l’atto delegato dovrebbe infine arrivare mercoledì 22 dicembre, per evitare di dare modo ai governi e al Parlamento di discuterne. Lunedì 20 dicembre si terrà l’ultimo Consiglio Ambiente dell’anno dedicato al pacchetto sul clima Fit for 55, quindi superato questo non ci saranno altre occasioni di incontro per discutere di tassonomia. Otre al mancato accordo della notte, il messaggio che i leader dei Ventisette mandano alla fine di questo vertice inconcludente sul fronte energia è che non c’è convergenza sulla politica climatica dell’UE e questo significa che bisogna prepararsi a colloqui difficili per quando entreranno nel vivo le discussioni sul pacchetto Fit for 55, ormai sotto la presidenza della Francia. I governi non sono concordi sul ruolo dell’ETS nella transizione ambientale e una parte consistente della riforma Fit for 55 riguarda proprio l’estensione del mercato del carbonio a edifici e trasporti, il dossier che rischia di essere quello più difficile da risolvere.
A mettere sotto pressione l’esecutivo comunitario anche le imprese. “I prezzi proibitivi dell’energia e del carbonio rischiano di minare la decarbonizzazione dell’industria siderurgica dell’UE”, denuncia Axel Eggert, direttore generale di l’Associazione Europea dell’Acciaio (EUROFER). “Le industrie europee chiave come l’acciaio non possono sostenere tutti i costi energetici e climatici che affrontiamo oggi e che probabilmente dovranno affrontare anche nei prossimi anni se i politici non prenderanno le giuste decisioni ora”.