Bruxelles – La Corte di Giustizia dell’UE ha bocciato con una sentenza pubblicata oggi il decreto legge dell’ottobre 2018, messo a punto dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, che, modificando l’articolo 93 del Codice della Strada, tra l’altro vieta a chiunque sia residente in Italia da un periodo superiore a 60 giorni di circolare con un veicolo immatricolato all’estero.
Il decreto divenne legge il primo dicembre del 2018, e da allora sono fioccate multe a spesso ignari cittadini che conducevano autovetture di parenti e amici sul territorio italiano. Il caso presentato alla Corte nasce da una multa comminata dalla polizia stradale di Massa Carrara a una coppia di coniugi che si stava recando al supermercato a bordo di un’automobile immatricolata in Slovacchia, di proprietà della moglie colà residente, e condotta dal marito, stabilmente residente in Italia.
La coppia ha impugnato la sanzione innanzi al Giudice di Pace di Massa Carrara il quale, riassume la Corte in una nota, “ha rilevato come il divieto in questione imponga, a carico dei soggetti residenti in Italia da più di 60 giorni, l’obbligo di immatricolare la loro vettura in Italia; ha sottolineato l’eccessiva onerosità di tale obbligo, sia in termini di costi che di complessità delle procedure amministrative”. Il Giudice di Pace ha inoltre ritenuto che il divieto costituisca, da un lato, “una discriminazione fondata sulla nazionalità e, d’altro lato, una limitazione all’esercizio di taluni diritti riconosciuti” dalle norme dell’Unione ai cittadini, e dunque ha sollevato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per verificare la conformità della norma nazionale con il diritto dell’Unione.
Con la sentenza di oggi la Corte ritiene che “il prestito d’uso transfrontaliero a titolo gratuito di un autoveicolo, ricorrente nel caso portato alla sua attenzione dal giudice del rinvio, sia qualificabile come movimento di capitali ai sensi dell’articolo 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Union eEUropea (TFUE). Secondo tale norma, sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Paesi membri, intendendosi per ‘restrizioni‘ quelle misure imposte da uno Stato membro tali da dissuadere i soggetti colà residenti dal contrarre prestiti in altri Stati membri”. La Corte sottolinea che la legislazione italiana, “imponendo ai soggetti residenti in Italia da più di 60 giorni una nuova immatricolazione degli autoveicoli già immatricolati in altro Stato membro, con pagamento dei relativi oneri, finisce per applicare una tassa al comodato d’uso transfrontaliero dei veicoli a motore”, mentre invece il comodato d’uso dei veicoli immatricolati in Italia non è assoggettato a questa doppia imposizione. “Siffatta differenza di trattamento – afferma la Corte – è in grado di dissuadere i residenti in Italia dall’accettare il comodato d’uso loro offerto dai residenti in un altro Stato membro”.
Per i giudici europei dunque la norma italiana “costituisce restrizione alla libera circolazione di capitali ai sensi dell’art. 63 TFUE”, che è ammissibile, ma “solo per motivi imperativi di interesse generale, che la Corte non ravvisa nell’ipotesi in esame, e per finalità di contrasto della frode fiscale quando l’autoveicolo immatricolato in uno Stato membro sia destinato all’utilizzo permanente in altro Stato membro”. La Corte rimette quindi al giudice italiano che ha rinviato la questione la valutazione sulla durata e sulla natura dell’uso del veicolo, oggetto del procedimento principale.
Comunque la Corte ribadisce “in via di principio, la contrarietà al diritto dell’Unione di una norma nazionale che vieti a chiunque sia residente in uno Stato membro da un periodo superiore a 60 giorni di circolare sul territorio con un veicolo immatricolato in altro Stato membro, quando la norma non tenga conto della temporaneità dell’utilizzo del veicolo sul territorio nazionale”.