Bruxelles – Nuovi edifici a emissioni zero dal 2030 e standard minimi di rendimento energetico per la ristrutturazione degli edifici esistenti. Questi gli obiettivi con cui la Commissione Europea propone oggi (15 dicembre) una revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPDB – “Energy Performance of Building Directive”), per introdurre standard minimi obbligatori di prestazione energetica per il parco immobiliare dell’UE da introdurre gradualmente dal 2027, vincolando gli Stati a individuare almeno il 15 per cento del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni e a ristrutturalo passando dalla classe energetica più bassa “G” al grado “F” entro il 2027 per gli edifici non residenziali e entro il 2030 per gli edifici residenziali.
L’edilizia è responsabile del 40 per cento dei consumi energetici d’Europa e del 36 per cento dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. La Commissione propone un intervento per arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire. La proposta di revisione è stata presentata con una conferenza stampa dal vicepresidente esecutivo della Commissione per il Green Deal, Frans Timmermans, e della commissaria all’Energia Kadri Simson. Se per i nuovi edifici viene introdotta la regola standard di emissioni zero dal 2030, la parte più difficile da affrontare per la Commissione, spiegano a Bruxelles, riguardava la ristrutturazione degli edifici esistenti, di cui solo l’1 per cento è sottoposto a processi di efficientamento annuale.
Il contenuto della revisione
L’approccio che adotta l’UE è quello della ristrutturazione degli edifici con le peggiori prestazioni energetiche, quindi quelli nelle classi “G” o “F”. I requisiti minimi saranno introdotti gradualmente, partendo prima dagli edifici non residenziali (come gli uffici o gli hotel) e a seguire quelli residenziali. Quanto ai primi, gli edifici che hanno il livello di prestazione energetica più scarso “G” dovranno rientrare almeno nella classe superiore “F” entro il primo gennaio 2027 e di classe E entro il primo gennaio 2030.
Per gli edifici residenziali, le case vere e proprie, i tempi si allungano e dovrebbero raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033.
Agli Stati membri come parte dei loro piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, Bruxelles chiede di stabilire una roadmap con specifiche scadenze per raggiungere classi di rendimento energetico più elevate in linea con il loro percorso verso le emissioni zero al 2050: le tabelle di marcia dovranno indicare il percorso per eliminare gradualmente i combustibili fossili usati per il riscaldamento e il raffreddamento entro il 2040 al più tardi, insieme a un percorso per trasformare il parco edilizio nazionale in edifici a zero emissioni entro il 2050. Questi piani saranno integrati in quelli nazionali di energia e clima (PNEC).
Come era emerso anche dall’ultima consultazione pubblica sull’argomento, la Commissione propone l’armonizzazione, il rafforzamento e l’estensione degli attestati di prestazione energetica – degli strumenti già presenti nella direttiva attuale – per includere ad esempio le emissioni di gas serra come un nuovo indicatore obbligatorio. Entro il 2025 Bruxelles vuole che gli attestati di prestazione siano basati su una scala armonizzata di classi di rendimento energetico uguali per tutti gli Stati: da “A” a “G” con “A” che significa ‘edifici a zero emissioni’ e “G” che corrisponde alla prestazione energetica peggiore. Dovranno avere degli attestati di prestazione anche tutti gli immobili messi in vendita o in affitto con l’indicazione della classe energetica di riferimento. Secondo un funzionario UE l’armonizzazione delle classi energetiche per gli edifici basato su criteri comuni, sarà comunque “adattato alle caratteristiche nazionali del patrimonio edilizio”.
E’ del tutto nuova, invece, l’idea di introdurre un “passaporto di ristrutturazione o di rinnovo”, che nei fatti servirebbe a registrare quali potrebbero essere le diverse fasi di ristrutturazione di un edificio. Previste nuove regole per l’interoperabilità e l’accesso ai dati, che saranno meglio dettagliate dalla Commissione in un atto complementare, spiega un funzionario europeo.
Le polemiche in Italia
Prima ancora che la proposta fosse varata da Bruxelles, in Italia è scoppiata una polemica sulla bozza per le possibili ricadute burocratiche ed economiche dell’introduzione di un obbligo di ristrutturazione per alzare la classe energetica prima della vendita o dell’affitto degli edifici che non rispetteranno determinati requisiti di efficienza, in particolare quelli in classe “G”. Bruxelles li chiama “trigger points”, sono momenti chiave della “vita” di un edificio come l’affitto o la vendita, che sono i più opportuni per effettuare interventi di ristrutturazione energetica, perché meno dirompente ed economicamente più vantaggioso rispetto ad altri momenti.
Secondo la Commissione Europea, approfittare di questi momenti e anche adottarli nei piani degli Stati membri faciliterebbe le decisioni di investimento per intraprendere lavori di riqualificazione energetica. Una proposta che non arriva dal nulla, visto che strategie di questo tipo sono adottate già in altri Stati membri. Sicuramente Bruxelles pensava a introdurre l’obbligo a livello europeo, anche per armonizzare l’approccio, ma alla fine ha deciso per il no. Non è chiaro quanto abbia influito la polemica in Italia, ma la Commissione ha deciso di lasciar perdere l’introduzione dell’obbligo vero e proprio lasciando “la flessibilità agli Stati sull’attivazione di questi trigger points, per capire anche in che direzione intendono andare”, ci spiega un funzionario.
All’Italia si rivolge direttamente Frans Timmermans in conferenza stampa (in italiano) chiarendo che “Bruxelles non vi dirà che non potete vendere la vostra casa se non è ristrutturata. E nessun ‘burocrate di Bruxelles’ confischerà la vostra casa se non è ristrutturata. Il patrimonio culturale è protetto e le case estive possono essere esentate”. Aggiunge che la proposta avanzata oggi “non contiene alcun divieto di vendita o affitto per gli edifici che saranno qualificati nella classe G, cioè per quel 15% degli edifici identificati come quelli con la peggiore efficienza energetica nel singolo paese”. Ribadisce che si lascia agli Stati Membri la libertà di decidere come far rispettare lo standard minimo. Ciò già accade con successo in vari Stati membri. “Da queste esperienze, ogni Stato potrà trarre le lezioni necessarie per applicare nella maniera più giusta ed efficace la nostra proposta”.
L’ondata europea di rinnovamento
La proposta di revisione è parte centrale dei piani della Commissione europea per raddoppiare il tasso di rinnovamento energetico annuale delle abitazioni e degli edifici non residenziali entro il 2030 e favorirne una profonda ristrutturazione energetica. Gli obiettivi centrali fissati sono fissati nella strategia “Ondata di rinnovamento” (Renovation Wave) presentata a ottobre dello scorso anno dalla Commissione Europea.
“Sappiamo che serviranno molti finanziamenti per arrivare a questi obiettivi”, ci spiega ancora un funzionario dell’esecutivo. “La buona notizia è che ci sono anche mezzi senza precedenti che vengono proposti”. In particolare, quando parliamo di fondi pubblici dell’UE, la Commissione sta aggiornando le sue regole sugli aiuti di Stato e “sarà presa in considerazione anche la direttiva” sull’efficienza edilizia. Gli Stati membri possono mettere a disposizione le risorse dei propri piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) ma hanno a disposizione anche il fondo europeo di dotazione regionale e da quelli di coesione.